Prosegue con lentezza da guinnes la rubrica dedicata ai sistemi sensoriali e alle percezioni. Ci eravamo lasciati più o meno così, parlando di olfatto e dei suoi meccanismi, grazie all’interessante intervento della neuroscienziata “odorosa” Anna D’Errico.
Si potrebbero scrivere decine di post sulla nostra relazione con il fuggevole mondo olfattivo, ma credo consumerò un po’ i polpastrelli spostando la prospettiva qualche centimetro più in basso.
Il sistema gustativo, ciò che in termini di recettori viene attivato quando bevande e cibi sostano nel cavo orale prima di essere ingeriti. L’importanza della sensibilità gustativa è ovviamente legata a filo doppio con la nutrizione. Il sapore di un cibo e di una bevanda sono infatti fondamentali per determinarne la commestibilità e l’appetibilità (e il loro rifiuto il contrario). Ciascuno dei 4 sapori fondamentali (si, manca l’umami ma poi ci arrivo) ha funzioni diverse.
Semplificando: il dolce assicura le riserve energetiche (divorate cioccolato a kg? Siete deficitari!Però fatevi vedere da uno bravo), il salato mantiene l’equilibrio elettrolitico, acido e amaro monitorano il pH e l’amaro si allerta in presenza di sostanze tossiche (vallo a dire a quelli che “dammi la birra più amara che hai”). Il grado di piacevolezza dei sapori è influenzato da diversi fattori: le esperienze alimentari, le necessità nutrizionali di quel determinato momento (la cosiddetta fame specifica), le nostre soglie di percezione. Non tutti percepiamo i sapori con la stessa intensità, ciò che è “troppo” per me non è detto lo sia per te.

Genetica e sesso hanno un peso rilevante. Le donne mostrano solitamente una maggiore sensibilità rispetto agli uomini per il dolce e il salato e una sensibilità minore per l’acido. Ma la nostra soglia di percezione e quindi di appagamento sensoriale (e di saturazione, se così possiamo chiamarla), dipendondo anche dal numero di gemme gustative e dalla loro vicinanza. In base a queste caratteristiche, come mostrato in figura 1, statisticamente possiamo essere suddivisi in: tolerant tasters, tasters e hiper tasters.

Il 50% di noi si trova nella fascia centrale, mentre i due estremi si suddividono equamente la restante fetta della torta. Un hipertaster (o supertaster), percepisce mediamente i sapori con un intensità tre volte superiore rispetto ad un tolerant taster. La deduzione ovvia porta a rimarcare (ripetete con me, come un mantra) il concetto di soggettività. Spero sempre ci si riesca a liberare da una certa scuola d’ assaggio e di giudizio monocratico alla Parker. Mi piacciono le cose impossibili difficili, lo so.
Ciò detto, cosa avviene in bocca quando assaggiamo un alimento? È corretto parlare di geografia dei sapori? E di retrogusto? Esiste il sesto sapore? (Datemi una parrucca bionda perdio!).
Alzi la mano chi è stato indottrinato così:

Si diceva (si dice ancora mi sa..) che le papille fungiformi (in punta) percepissero il sapore dolce; le foliate, poste ai lati posteriori, l’acido; le filiformi, poste nella parte laterale anteriore della lingua, il salato e le circumvallate, nella regione posteriore, l’amaro.
Esiste questa geografia?
Anche ammettendo che per semplificare si possa generalizzare, forse è iutile spiegare come stanno le cose. Che poi c’è chi magari sperimenta sensazioni un pò diverse quando si trova a dover fare i “conti” con la propria bocca. Uno studio americano del 2001 (l’altro ieri insomma), ha dimostrato come le singole cellule sensoriali, ovvero le papille gustative dotate di gemme gustative (o bottoni), NON rispondano solo ad un unico sapore, ma rispondano solitamente a tutti gli stimoli gustativi, seppur in modo diverso. Sì, esiste una preferenza specifica dei recettori rispetto ai sapori primari, ma non vi è una selettività assoluta. Potreste insomma percepire il dolce non solo sulla punta della lingua, piuttosto che il salato ai lati e via discorrendo. La percezione dei sapori avviene a macchia di leopardo su quasi tutta la lingua, labbra e gran parte della cavità orale. La discriminazione dei sapori non è tanto una faccenda “territoriale”, quanto piuttosto dipendende dal tipo di recettore e dalla sua attività di confronto in relazione all’attività degli altri recettori gustativi.

Quindi: le papille fungiformi sono poste sulla parte anteriore della lingua e contengono una o più gemme gustative; le circumvallate si trovano nella regione posteriore della lingua (formano una sorta di V capovolta) e sono composte da circa 12 gemme gustative e le papille foliate, provviste anch’esse di gemme gustative, vanno a formare piccoli solchi ai lati della lingua nella regione posteriore. Le papille filiformi, le più numerose della lingua, sono invece prive di gemme gustative (come erroneamente si pensava). Non sono coinvolte nelle percezioni gustative ma in quelle tattili.
E poi c’è l’umami (sapido), il quinto sapore. Ovvero la risposta sensoriale dei recettori gustativi in presenza di alimenti contenenti glutammato monosodico, il sale di sodio dell’acido glutammino, uno degli amminoacidi naturali che costituiscono le proteine. È presente in molti alimenti (latte, pomodori, funghi, salsa di soia, formaggi a lunga stagionatura) e, riprodotto sinteticamente, è largamente utilizzato dall’industria alimentare per la sua capacità di esaltare i sapori dolci e salati. La risposta sensoriale al glutammato monosodico è un qualcosa che solitamente fatichiamo ad individuare con precisione. Un pò perchè la sua presenza è sempre legata ad altre sensazioni gustative, un pò perchè il suo manifestarsi genera uno stimolo di difficile interpretazione. Ricorda qualcosa di dolce e salato, sembra stare lì “nel mezzo”. Le risposte più frequenti di chi assaggia il glutammato in purezza per la prima volta (dopo 3 secondi di espressione schifata e sguardo di dispezzo verso la “profe”) sono: ” 1) che roba è?, 2) non capisco se è dolce o salato, 3) che schifo!, 4) sa di dado”. Esistono le eccezioni, tipo i divoratori di dadi da brodo (anche voi, fatevi vedere da uno bravo).
Il Grasso: il sesto sapore?
A dircelo è uno studio della Washington University School of Medicine, che ha dimostrato come alcuni recettori gustativi si attivino (o meno) in presenza di lipidi. A regolare questo meccanismo “fat busters” è il gene CD36. Quando è attivo vengono sintetizzate grandi quantità di proteine che localizzano i lipidi e ci fanno essere più sensibili rispetto alla presenza di questi composti negli alimenti, mentre quando è poco presente o viene “impigrito” (assumendo cibi grassi), si tende ad ingerire maggiori quantità di lipidi e con sempre maggior frequenza. La scalinata verso il sovrappeso e l’obesità? Sembrerebbe..
Esiste il retrogusto?
L’unica sensazione gustativa a lasciare un ricordo di sè dopo la deglutizione è il sapore amaro (unito a sensazioni tattili, come ad esempio l’astringenza). Ciò che ricordiamo è dato dagli aromi percepiti per via retrolfattiva attraverso la rinofaringe (olfazione indiretta), sensazioni tattili e in minor parte gustative (dovrei aprire la parentesi “consistenza/viscosità” ma ne parliamo più avanti magari). È quindi più corretto parlare di retrolfatto, eventualmente di persistenza gusto/olfattiva o di flavor (per chi mastica l’inglese).
Sufficientemente lobotomizzata io e (mi auguro non troppo) tiediati voi, direi che è arrivata l’ora della merenda..
Che poi, alla fine, tutto si traduce con un “mi piace” 😉
2 risposte a "Dolce in punta ci sarai tu! Sistema gustativo e altre faccende da “nerdgustatore”"