L’olfatto secondo la scienza? Ce lo racconta Anna D’Errico.

Nell’immaginario di una bambina di 10 anni gli scienziati erano: di sesso maschile, ultrasettantenni, un pò rachitici e con lo sguardo allucinando di chi ha trascorso l’esistenza chino su un microscopio. In verità fino ad oggi non è che avessi modificato questa proiezione, ma poi ti capita di conoscere una giovane neuroscienziata e sei costretta a rivedere tutti i tuoi credo.

ottobre2013Sono davvero entusiasta di ospitare Anna D’Errico su #TUC. Anna è una ricercatrice e sta compiendo studi proprio sui meccanismi percettivi dell’olfatto (ciò di cui avrei parlato indegnamente io per la rubrica sensorialità). Potevo scegliere cicerone migliore per raccontare questo affascinante quanto misterioso sistema sensoriale? Perdio, NO! Ho conosciuto Anna navigando nel caotico mondo dei blog, i nerd dell’assaggio (eccomi) sono soliti indugiare su quanto si dice in giro in materia di fisiologia dei sensi e percezioni. E così leggo, mi incuriosisco e penso: che figata! Anna ed io abbiamo fatto una lunga chiacchierata. Mettetevi comodi.

Benvenuta Anna. Noi di TUC siamo felici di averti qui oggi, grazie per aver accettato il nostro invito.

“Grazie a voi per l’invito  il vostro spazio è molto piacevole e offre ottimi spunti sensoriali. Vien subito voglia di scorazzare per vigne e vigneti!”

Ci racconti il tuo percorso? Da dove nasce questa passione per le neuroscienze e il mondo odoroso?

“All’inizio, da studente di biologia, avevo una generica passione per il cervello e come funziona, perciò al momento di scegliere la specializzazione e la tesi di laurea è stato naturale entrare in un laboratorio di neurofisiologia. Qui è cambiato tutto. Perché fino a quando  non ci finisci dentro, in laboratorio, non capisci fino in fondo cosa significa, ne hai un’idea più o meno generale, conosci la teoria, ma ignori quanto la realtà sia diversa: le prove, gli errori, le cose che non funzionano, tutto fa parte di una pratica quotidiana che alla lunga ti porta a osservare i problemi e la teoria con un altro piglio, più pratico. E così il mondo della ricerca ormai mi aveva acchiappata, inoltre ho sempre avuto un debole per puzze, odori e profumi per cui quando ho finito il dottorato a Pavia e cercavo un nuovo laboratorio non è stato difficile dire di sì a uno dove si studiava l’olfatto!

Sono perciò andata alla SISSA di Trieste nel laboratorio di neurofisiologia sensoriale della Prof. Anna Menini, dove ho iniziato a studiare i feromoni. I nostri sensi sono qualcosa di intrigante perché fanno da ponte tra il mondo esterno e il nostro stesso corpo, dalle nostre sensazioni generano una moltitudine reazioni fisiche e emotive. Cercare di capire in che modo tutto questo avvenga è un viaggio, in tutti i sensi…”

Leggo sul tuo blog che attualmente lavori come ricercatrice al Max-Planck Institute of biophysics “studiando e cercando di capire come il cervello riesce a decifrare e riconoscere gli odori”. Sembra manchino ancora parecchi tasselli per completare questo puzzle. Cosa si sa sull’olfatto e cosa manca all’appello?

“Sì è vero sono davvero molte le cose che ancora non si sanno: mentre l’anatomia del sistema olfattivo è abbastanza chiara, sulla fisiologia e la genetica dell’olfatto c’è ancora parecchio da studiare. Le molecole chimiche che costituiscono un odore entrano nelle nostre narici con l’aria che respiriamo e possono così raggiungere la pareti interne più profonde del nostro naso dove sono presenti cellule specializzate alle ricezione degli odori: i neuroni olfattivi. Sì, se ve lo state chiedendo, sono veri e propri neuroni, come quelli presenti nel cervello. Queste cellule hanno terminazioni digitiformi specializzate, chiamate ciglia, che sporgono sull’epitelio olfattivo e sulle quali sono localizzati i recettori olfattivi. È a queste proteine, presenti sulla superficie delle ciglia, che si legano le molecole odorose. Qui il primo inghippo: non tutte le molecole si legano a tutti i recettori, e non allo stesso modo. A dire il vero non è ancora del tutto chiaro neanche come avvenga esattamente l’interazione molecola-recettore, per ora la teoria più supportata dai dati sperimentali e quella del modello “chiave-serratura”, cioè la molecola viene riconosciuta dal recettore in base alla sua forma: attiva meglio il recettore che le calza meglio per così dire.

I recettori olfattivi rappresentano la più vasta famiglia di geni dell’intero genoma, ma in ogni caso il numero di recettori olfattivi passando da una specie all’altra (invertebrati compresi) non segue schemi ovvi: 1200 nei roditori, 400 nell’uomo, 1500 nel verme Caenorhabditis elegans, 130 nel  moscerino Drosophila melanogaster. Nel 1991 Richard Axel e Linda Buck hanno pubblicato una ricerca fondamentale per la quale nel 2004 hanno ricevuto il Nobel per la medicina e la fisiologia. Grazie a quegli studi sappiamo che i geni per i recettori olfattivi vengono espressi da ciascun neurone olfattivo in modo monogenico e monoallelico, ossia, semplificando,  ogni neurone ha un solo tipo di recettore. Tuttavia, secondo inghippo, non si conoscono ancora i meccanismi genetici in base ai quali viene “scelto” quale recettore esprimere e, terzo inghippo, un odore è quasi sempre il risultato di più molecole insieme che attivano in modo diverso recettori diversi secondo un codice combinatorio.

Ovviamente non conosciamo ancora il codice. Sappiamo che la prima parte di decodifica dell’informazione olfattiva segue una via stereotipata e definita anatomicamente dalle connessioni nervose tra i neuroni olfattivi e i due bulbi olfattivi. Nel bulbo olfattivo i prolungamenti dei neuroni olfattivi con lo stesso tipo di recettore convergono in strutture chiamate glomeruli. Per cui la combinazione di glomeruli che si attiva con un odore riflette il tipo di recettori che sono stati attivati. L’informazione viene poi trasmessa direttamente alla corteccia olfattiva dove invece pare non ci sia una “mappa anatomica” che rifletta ciascun tipo di odore. Capire come la rete di neuroni nella corteccia decodifica questi messaggi è uno degli attuali crucci dei ricercatori perché è lì che le molecole chimiche diventano puzze, profumi, aromi.”

Picture2 copyPerché gli odori hanno spesso il potere di evocare momenti, situazioni o emozioni vissute. Riguarda il meccanismo di percezione? Dipende dai legami diretti con la parte antica del nostro cervello?

Come dicevo l’informazione odorosa arriva al cervello seguendo una via preferenziale rispetto agli altri sensi. È un po’ come se viaggiasse in corsia di riserva quando c’è coda, risultato: arriva prima, e per giunta dritta al centro delle nostre emozioni. Non è un caso. Ci sono dietro anni e anni di evoluzione: nella maggior parte degli animali captare al volo le sostanze chimiche che girano intorno significa identificare e individuare subito chi le ha prodotte e dove, scappare se è un predatore nelle vicinanze, prepararsi a pasteggiare se è cibo. Questi comportamenti seguono un meccanismo piuttosto stereotipato: naso – corteccia/amigdala-ipotalamo- rilascio di ormoni a seconda del caso- comportamento istintivo mediato dagli ormoni.

Non ci sono tappe intermedie, sono direttamente i neuroni olfattivi a recepire gli odori e mandare l’informazione come segnale nervoso al bulbo olfattivo e da qui alla corteccia olfattiva e alle aree limbiche. Questa parte del cervello, chiamata infatti anche rinoencefalo, è la parte del cervello evolutivamente più conservata tra le specie animali e vi risiedono strutture cerebrali importanti per la regolazione dei ritmi vitali e per la sopravvivenza. Queste aree comprendono la corteccia entorinale, l’amigdala e l’ipotalamo e sono anatomicamente molto vicine all’ippoccampo, responsabile di fondamentali meccanismi di apprendimento e memoria.

Nell’uomo questo schema si è in parte modificato, siamo più adattabili a diversi tipi di ambienti e abbiamo sviluppato un sistema sensoriale e cognitivo che predilige soprattutto gli stimoli visivi – crediamo più a ciò che vediamo che a ciò che annusiamo! Nel nostro caso il legame naso-cervello agisce non tanto guidando direttamente i comportamenti sociali come nei topi, ma coinvolgendo le nostre emozioni e il loro ricordo (aiuta, ma generalmente non ci basta una sniffata per decidere se accoppiarci con qualcuno, ci sono una serie di “protocolli socio-culturali” che seguiamo; viceversa l’odore della persona amata ci fa subito emozionare eccome).

Già da questa panoramica è facile intuire il coinvolgimento degli odori nella nostra sfera emozionale e il suo ruolo nella costruzione dei ricordi. Anche in questo caso però siamo di fronte a processi ancora poco conosciuti e in cui ci sono molte osservazioni, anche aneddotiche che però purtroppo a volte restano tali ed è difficile validare scientificamente. È un campo di studi che comprende non solo la biologia di base ma anche le scienze cognitive, la neuropsicologia e la psicologia sociale che ci danno importanti contributi per capire cosa effettivamente avvenga.

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Amigdala

Numerosi studi di neuropsicologia e psicologia comportamentale hanno evidenziato un legame tra percezione olfattiva e emotività. Come dicevo le informazioni olfattive raggiungono le aree limbiche del cervello e in particolare l’amigdala, struttura che in molti animali come i roditori regola diverse risposte stereotipate indotte dai feromoni: reazioni di fuga o attacco, accoppiamento, cure parentali. Essa è importante per le reazioni da stress e la memoria. Nel caso dell’uomo l’amigdala elabora le emozioni, fissa i ricordi e se funziona male può generare diversi disturbi psicologici e psichiatrici. 

Tornando agli odori, sembra aiutino a fissare meglio soprattutto i ricordi legati a esperienze molto emozionanti. Se questo effetto facilitante nel memorizzare gli eventi in generale sia maggiore rispetto agli altri sensi non è dimostrato, mediamente se un fatto o una qualsiasi cosa avviene in associazione a uno stimolo sensoriale è poi più facile ricordare l’evento stesso. Viceversa sarà facile richiamare alla memoria quel ricordo in presenza dello stimolo al quale lo abbiamo associato. Ciò vale un po’ per tutti i sensi, per l’olfatto dicevo la particolarità sta nel fatto che funziona molto meglio quando la componente emotiva è forte. L’ipotesi possibile è che visto lo stretto legame e parziale sovrapposizione tra i circuiti cerebrali che decodificano gli odori e quelli che processano le emozioni e la memoria,  l’evento venga “fissato” nella nostra testa in associazione all’odore percepito e quindi è facile che annusare nuovamente quell’odore non solo faccia ricordare l’evento ma rievochi lo stato d’animo ad esso associato. Di fatto accade più facilmente che quelle evocate siano sensazioni, che è poi più difficile descrivere a parole…”

Capita spesso di percepire odori che ci sono famigliari, ma di non riuscire a dare un nome a questa sensazione (cosa che ad esempio non avviene con gusto e tatto).Quale il motivo?

Anche in questo caso una spiegazione definitiva per ora non c’è anche se diversi studi iniziano a fare un po’ di chiarezza. Per prima cosa bisogna osservare che in molti casi non riusciamo a dare un nome a un odore perché non ne conosciamo nessuno e quelli che conosciamo di solito sono molto generici, poco precisi e nella maggior parte dei casi si rifanno a un linguaggio preso in prestito dagli altri sensi: Un odore può essere verde, caldo, speziato, acuto, avvolgente, fiorito, fruttato e così via. In quanti casi riusciamo a dare a un odore un nome che non si rifaccia a qualcuno degli altri sensi?

Il fatto è che siamo “tarati” su un liguaggio tattile e visivo, per capire e identificare una cosa abbiamo bisogno di visualizzarne l’immagine altrimenti quella cosa non solo resta invisibile diventa in qualche modo inesistente. Alcuni esperimenti hanno mostrato come anche l’attenzione e la consapevolezza giochino un ruolo importante: in un esperimento degli anni novanta (Lorig, 1992) veniva chiesto ad alcuni soggetti di valutare come due ambienti identici potessero essere percepiti in modo diverso: l’unica cosa che cambiava – a loro insaputa –  nelle due stanze era l’odore, tuttavia la maggior parte delle persone che sosteneva di aver percepito delle differenze tra i due ambienti le attribuiva a un cambio di illuminazione. Solo il 3% dei soggetti realizzò che era cambiato solo l’odore.

Quando annusiamo qualcosa cerchiamo subito un’associazione con un’altra immagine sensoriale, questo ci consente di classificare e ricordare meglio l’odore. Come dicevo la memoria olfattiva funziona bene soprattutto con le emozioni, per le informazioni “di routine” che seguono uno schema cognitivo di tipo logico-razionale di solito di appoggiamo di più sugli altri sensi. E, come accennavo, anche per le emozioni abbiamo spesso un linguaggio con poche sfumature…

Ad ogni modo, molto è culturale e legato all’apprendimento. I “nasi” e gli esperti di vino, proprio grazie alla loro preparazione sono molto più abili della media nel riconoscere gli odori e dar loro un nome. Ma anche in questo caso i sensi spesso giocano brutti scherzi, un esperimento è emblematico [mò rido, ndr] : gli scienziati hanno studiato la capacità di descrivere e riconoscere diversi vini in una serie di studenti in enologia e esperti sommelier. Provando diversi vini rossi i soggetti hanno fornito ampie e dettagliate descrizioni consistenti con diverse tipologie di vino rosso. Peccato che il vino fosse bianco. Gli sperimentatori vi avevano aggiunto del colorante proprio per testare quanto le capacità di riconoscimento del flavor potesse essere influenzato dagli altri sensi. Anche in questo caso l’informazione visiva – colore rosso- ha prevalso su quella olfattiva – il vino era un bianco. Altri esperimenti hanno mostrato per esempio che l’attribuzione di una qualità a un odore è fortemente influenzata dal nome a cui viene associato. In uno studio pubblicato quest’anno sulla rivista scientifica Chemical Senses alcuni soggetti dovevano distinguere tra un odore dolce e uno al limone. Le attribuzioni tendevano a seguire l’indicazione dell’etichetta “sugar” o “ citrus” anche quando venivano invertite! Ma non c’è di che deprimersi, molto appunto dipende dall’apprendimento e dall’abitudine a sentire e dare loro un nome, che siano odori o emozioni”

Leggo che stai compiendo studi anche sui feromoni. Cosa sono? Come agiscono? Che potere hanno sulla nostra vita sociale e di relazione?

“Ho lavorato per un periodo sui feromoni, ora in realtà studio la corteccia olfattiva. Un feromone è una sostanza chimica inodore che è in grado di indurre negli animali comportamenti stereotipati legati alla sfera sociale e la sopravvivenza come l’accoppiamento, le cure parentali, le reazioni di fuga o di attacco. Queste molecole vengono recepite principalmente da una struttura specializzata del sistema olfattivo chiamata organo vomeronasale. Recenti esperimenti hanno mostrato che anche alcuni recettori nel naso sono in grado di rispondere ai feromoni, ma non si conosce molto.

Nell’uomo l’organo vomeronasale non c’è, si parta di organo vestigiale proprio perché sarebbe un residuato evolutivo non più funzionale, ma ad ogni modo anche anatomicamente non è stato ancora trovato nonostante i numerosi tentativi. La questione feromoni nell’uomo è quindi ancora dibattuta perché al momento non ci sono prove scientifiche sulla loro azione. Un’ipotesi è che nel nostro caso sarebbero alcuni recettori del naso a identificarli, ma i dati sono ancora molto traballanti. Studi come il famoso “esperimento della maglietta sudata” (Wedekind et al., 1995) hanno mostrato che tendiamo a preferire gli odori di persone con “marcatori”  diversi da quelli presenti nel nostro stesso odore. Con molta probabilità si tratta di un meccanismo di discriminazione tipo “self”- “non-self”.

Alcuni ricercatori hanno riportato anche alcune correlazioni tra l’esposizione all’androstenedione, presente nel sudore ascellare e principale candidato-feromone, e alcune fluttuazioni ormonali, prove definitive però ancora nessuna. Quindi se vi state chiedendo se per Natale possa valer la pena far un investimento in un ‘profumo ai feromoni” beh, forse meglio puntare su qualcos’altro…”

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fonte: web

Direi che la faccenda è bella ingarbugliata. E di quanto siamo infinocchiabili vogliamo parlarne? (Prossima volta eh? Un trauma per volta) .
Ah, se stavate pensando al profumo ai feromoni per Natale il consiglio è quello di passare in enoteca. Il crollo dei freni inibitori dopo l’abbondante assunzione di alcool è avallato da una statistica robusta.


2 risposte a "L’olfatto secondo la scienza? Ce lo racconta Anna D’Errico."

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