La fine degli anni ’90 sono stati il terreno per una battaglia discreta tra le due super potenze italiane che producono metodo classico. Una sorta di guerra fredda giocata sul filo dei milioni di bottiglie, chi prima tre poi quattro e chi invece è arrivato a cinque.
Ferrari e Berlucchi sono stati -e in qualche caso lo sono ancora- i punti di riferimento della tipologia. Due marchi che hanno fatto storia, spesso più forti dei territori dei quali fanno parte ma con due concezioni evolutive differenti. Ferrari continua a essere più riconosciuto rispetto al marchio della denominazione che risulta ancora troppo debole e zoppicante perché priva di quella colonna portante costituita dalle piccole aziende, mentre Berlucchi ha scelto solo negli ultimi anni di entrare a far parte della denominazione Franciacorta.
Un tempo, la differenza dei prezzi a scaffale era molto sottile mentre oggi la forbice si è allargata notevolmente in valore, vedendo le bottiglie targate Ferrari in una costante rivalutazione verso l’alto, mentre Berlucchi -anche nel pre-Franciacorta- ha visto l’asticella pendere in direzione opposta. Aumento produttivo superiore alla domanda con conseguente perdita di valore unitario? Pare.
Senza mettere a confronto i vini delle due, dal momento che rischierei di essere tacciato di conflitto d’interessi da entrambe i lati, abbozzo due cose in merito alla bottiglia regalatami dall’amico Franco Ziliani poco prima di natale e che ho apprezzato.
Un vino impeccabile il Perlé Nero 2006 a differenza del 2004 degustato qualche tempo prima e che trovai decisamente più stanco. Polpa e gusto esaltati da un rigore produttivo sapiente e non casuale. Ogni cosa in perfetto ordine in un’amalgama golosa tra frutta e acidità che donano equilibro e slancio alla beva. Tecnicamente ineccepibile quanto vivo nell’esaltazione totale di un Pinot Nero perfettamente maturo. Bono! Un vino che berrei ancora e senza riserve.
Io dopo aver riciclato (negli ultimi 4/5 anni), nei giorni post-Natale le bottiglie di Ferrari e Berlucchi brut regalatemi ad vantaggio amici meno fighetti e sboroni, ho riservato, quaest’anno qualche champagnotta per una prova d’assaggio asettica al fine di verificare di persona lo stato dell’arte rispetto a piccoli produttori che per narcisa snobberia inseguo (fa molto cool!!!).
Per anni, prima del periodo di buoi, ho preferito il Ferrari al Berlucchi (parlo solo del brut), per una sua amalgama e fusion più piacevole, quest’anno ho preferito invece, a parità di sboccatura (giugno 2012) il franciacortino, più sottile e verticale per i miei gusti attuali…Non c’è partita invece per i millesimi Perlè rispetto ai vari Cellarius e Palazzo Lana della Berlucchi, ora mi(ti) chiedo i gusti cambiano ma anche le grandi realtà modificano il tiro anche in presenza di numeri da capogiro ed estendo il discorso anche ad un’azienda della mia regione (F.S.G. – Campania) che fino a qualche anno fa aveva vini fotocopia indipendentemente da uva, affinamento e zona di produzione, oggi invece con il cambio di presidenza sta lavorando meno su un omologazione del gusto e più su una differenziazione della “vasta” gamma, benchè l’eno-fighetto si tenga lontano dalle sue bottiglie perchè fa poco intenditore!
Non so, Claudio, ma in merito a “i gusti cambiano ma anche le grandi realtà modificano il tiro anche in presenza di numeri da capogiro… ” io ho sempre visto il vino come una grande opera fuoriuscita dalle mani dell’uomo e come tale unica.
Trovo quantomeno discutibile il cercare di piacere a tutti i costi: se una donna è bella, è affascinante ed elegante lo è da nuda quanto da vestita e l’abito, dev’essere un esaltante vezzo e non uno strumento con il quale far sembrare ciò che non si è. Dovremmo concentrarci di più sull’espressione dell’essenza e solo dopo darle una veste.
Sono comunque molto contento che FSG stia attuando una sorta di ritorno alle origini e sono certo che anche “l’eno-fighetto” non potrà ignorarli per sempre.
Giovanni,
come non condividere le tue impressioni e soprattutto il parallelo con l’elemento “donna”, ma penso anche che se fai 10.000 o 50.000 boccie puoi anche rischiare di piacere a pochi e buoni (o più o meno tali) ma se fai 3.000.000 o più di boccie, un pò di gusto di massa lo devi soddisfare altrimenti 2.550.000 bottiglioni ti restano in cantina o sugli scaffali dei supermercati e l’anno dopo si è costretti a non sboccare più!!!
Metodo Classico troppo taglienti possono piacere a me, ma a quanti invece piace quel residuo zuccherino che arrotonda e massifica un pò tutto, ti assicuro a molti e poi sentire note evolute piùttosto che solo la crosta di pane bruciacchiata a quanti piace?
Comunque nel mondo del vino, come nella vita, è giusto non fermarsi mai alla prima impressione e fare i talebani per partito preso perchè proprio quando meno te lo aspetti possono venire belle sorprese, altrimenti berremo tutti solo la fighissima Bourgogne e Champagne di RM…
Sono d’accordo con te in merito alle produzioni da milioni di bottiglie, però ti chiedo (vedilo come un assist 🙂 ) perché si deve arrivare a produrre milioni di bottiglie?
Non sarebbe più opportuno avere tante aziende da 50 mila che mantengano identità di luoghi e di stili ben distinti, invece di fare amalgama di tutto a vantaggio di un numero?
Soldi?
Sai dosa gliene importa a mister Berlucchi o a mister Ferrari dell’identità dei luoghi e della non-omologazione?
Alle riunioni di aziende che fanno certi numeri non si parla mai di qualità, ma di crescita: ogni anno bisogna fare meglio dell’anno precedente e se serve il prodotto per la massa, avanti con la cuvée facile facile, anzi, omologata.
Bell’assist, ma penso che i vantaggi e svantaggi del nostro sistema paese Italia sia proprio questo: la miriade di micro imprese, e non parlo solo di settore agricolo, che ci ha permesso di conservare la nostra identità territoriale e le nostre eccellenze ma che nel confronto oltre i confini non riesce a gestire la concorrenza straniera e non solo per colpe intrinsseche all’azienda.
Sono poche le realtà di piccole dimensioni che possono sopravvivere facendo il made in Italy, le altre sono destinate al default in un sistema globalizzato e marcio, dove come dice l’amico”il chiaro” si parla solo di crescita e non di consumi sostenibili.
Se a questo aggiungiamo che le grandissime realtà nazionali sono state foraggiate per decenni, drogando il sistema a danno dei piccoli è molto facile la conclusione, è tutto un sistema sbagliato!!!
Io lavoro in banca e ti assicuro che i fidi li concediamo ha chi, oltre a bilanci solidi e rating eccellenti, non ha bisogno del denaro, alle piccole realtà produttive il nostro sistema finanziario non solo non permette di fare il salto di qualità ma a stento permette di sopravvivere, se poi aggiungiamo che la nostra imprenditorialità, almeno ti parlo di quella che conosco, non è per la maggioranza, eccelsa, ecco che il sistema nazionale e internazionale è al collasso o quanto sono pochi stati che detengono le sorti del resto del mondo!
Sui timori del futuro ti evito di parlare e quindi appoggio la tua battaglia di PICCOLO E’ BELLO!!!