Cari consumatori, è necessario che sappiate una cosa; i consorzi di tutela non sono organi governati da un sistema democratico, ma da uno dove comanda chi possiede o produce di più.
Nella sostanza, se avete denaro per acquistarvi il 50% +1 di un territorio (che sia in ettari, o in numero di bottiglie prodotte) diventate automaticamente il capo politico che determinerà le scelte dell’intera denominazione.
Non sono gestiti con il sistema “una testa un voto” come ogni cosa, fatta eccezione per pochissime questioni straordinarie. Più possiedi/produci più il tuo voto ha peso.
Oggi sono amministrati come vere e proprie aziende, con un consiglio di amministrazione che si auto elegge e, in alcun casi, con un amministratore delegato (scelto dagli autoeletti) che funge da paravento per nascondere il potenziale conflitto d’interessi che potrebbero generare alcune scelte poco sentite dalla totalità dei produttori come palesemente inique. Le rogne legali così, saranno tutte a carico di quest’ultimo e spetterà sempre a lui dimostrare alla totalità dei soci che ogni decisione presa e controfirmata, sia stata a vantaggio di tutta la denominazione e non solo dei “poteri forti” che l’amministrano.
Dal 2013 i consorzi sono disciplinati da “erga omnes” che obbliga chiunque utilizzi la denominazione a pagare una consistente fetta di quota, anche da parte dei non iscritti al consorzio stesso. E io sono d’accordo…
In sostanza, i non associati partecipano alle spese per le attività di tutela, vigilanza e valorizzazione che dovrebbero andare a vantaggio di tutta la Denominazione.
La corretta operatività dei Consorzi oltre ad essere un dovere giuridico è condizione essenziale di garanzie per i produttori in termini di trasparenza e correttezza.
In quest’ottica il Legislatore (DM 12 maggio 2010) impone ai Consorzi una dettagliata rendicontazione annuale al MIPAAF della attività effettuata, presentazione del bilancio con distinzione delle voci erga omnes da quelle istituzionali (pesi che un cda sposta come vuole), dettaglio investimenti effettuati, elenco associati. Non mancano infine disposizioni sanzionatorie nel caso d’inadempienze.
Ora, dal momento che la valorizzazione della denominazione è stabilita nei modi, tempi e costi sempre da chi detiene il potere politico senza che i soci (in minoranza di voto anche se in mille contro uno) possano obiettare e queste si rivelassero non solo sterili ma pure dannose all’intera denominazione, chi ne deve rispondere? È ancora giusto alimentare i perpetui fallimenti con il denaro di tutti sotto la voce “valorizzazione”?
Guardando i numeri, sarebbe curioso intrecciare quelli di un consorzio con quelli delle aziende dei produttori che governano lo stesso (un po’ come si faceva quando Silvio era al governo, dove si scopriva che il paese andava “alla cazzo” e le sue aziende crescevano esponenzialmente).
Il punto è questo: se la denominazione è di tutti e si contribuisce collettivamente, perché le scelte in merito alla valorizzazione e promozione sono decise da pochi (e soliti) e non dalla totalità dei soggetti che utilizzano la denominazione con la formula “una testa, un voto”?
Perché a me sta cosa del “più possiedo, più comando” mi ricorda moltissimo il sistema feudale e pure quello massonico, come se il possessore della villa più grande del quartiere decidesse le sorti di tutti gli altri abitanti. Invece deve pagare più tasse rispetto a me che vivo in 60 metri, com’è giusto che sia e il suo voto vale quanto il mio. Del resto nessuno gli ha ordinato di avere più degli altri a tutti i costi.
I consorzi non funzionano come le cooperative, ma come le società per azioni. Sono organismi di tipo economico quindi esiste una logica in questo. Con questo non voglio dire che le tue riflessioni siano sbagliate, ma a mio avviso occorre un bilanciamento corretto, quello attuale è squilibrato, ma una testa un voto lo sarebbe ugualmente. Non sarebbe logico che il voto del garagiste che fa mille bottiglie contasse come quello di Zonin, perché la DOC è sì un patrimonio di tutti ma anche un marchio commerciale e va gestito da chi lo utilizza. Poi una cooperativa che ha 500 viticoltori vale uno o vale 500? Non sono questioni da nulla. A mio avviso comunque la cosa più sbagliata è chiamarsi fuori. Le battaglie non vanno fatte contro i consorzi, ma dentro i consorzi. Ci sono denominazioni in cui i “piccoli” producono, in totale, più dei “grandi”, ma non contano un tubo lo stesso perché lasciano i consorzi in mano ai grandi per “sconfittismo” pregiudiziale.
O funzionano come funzionavano le corporazioni? 😉 Una testa un voto ha anche salvato Montalcino in tempi non sospetti..
Mauri, però non sono d’accordo quando mi fai l’esempio garagista-Zonin. Il secondo produce di più, vende di più, guadagna di più; ha scelto di fare così. l’altro magari c’ha messo tutto quello che ha in quelle poche casse di vino ed è entusiasta del suo territorio più che del guadagno in se.
Avrebbe credibilità un territorio fatto solo di 2 aziende come Zonin e senza un’ossatura fatta di tanti piccoli e impegnati? Io dico di no e sulla base di questo non trovo sbilanciato una testa un voto.
In merito al “chiamarsi fuori” hai ragione e mi fa piacere che oggi due uomini che stimo (uno sei tu) mi abbiano aiutato a capirlo