Waiheke, mon amour

Waiheke è una stupenda isola nel Golfo di Hauraki, poco distante dalla città Auckland; con il traghetto, in poco più di mezz’ora ci si lascia alle spalle la frenesia cittadina e si approda in quella che in Nuova Zelanda viene definita “The Island of wine”. Effettivamente, su una superficie poco più grande di quella di Pantelleria, sono disseminate una ventina di cantine, tutte di piccole dimensioni e con un appeal da boutique winery, concentrate principalmente nella parte occidentale dell’isola, quella più densamente abitata.

Il clima dell’isola è ovviamente molto influenzato dall’Oceano, ma data la relativa vicinanza con la “terraferma”, intesa come la North Island, i venti più freddi e umidi provenienti da ovest vengono parzialmente schermati. L’Oceano funge da modulatore termico: le brezze marine evitano che le temperature estive salgano in maniera eccessiva durante il giorno, e durante la notte l’escursione termica è mitigata dalla riserva di calore rilasciata dalla superficie oceanica. Semplificando, ciò consente di avere una stagione vegetativa sufficientemente lunga da portare a maturazione le varietà più tardive in Aprile, ma senza sottoporre la vite ad eccessivi stress termici durante l’estate.

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La conformazione geologica dell’isola è caratterizzata da strati di roccia che sono stati compressi e deformati dall’attività tettonica dell’area, donando all’isola un aspetto collinoso, con piccoli versanti che si susseguono in un continuo cambio di paesaggio. I suoli sono principalmente costituiti da argilliti originate dall’azione di degradazione meteorica, tranne nella zona orientale dell’isola dove sono predominanti suoli di origine vulcanica; in alcune aree le argilliti sono ricoperte da importanti strati di sedimenti di origine eolica, provenienti dalla costa occidentale della North Island. La presenza delle argilliti fa sì che in generale i suoli di Waiheke siano caratterizzati da pH bassi, buona dotazione di minerali, alta porosità e bassa permeabilità.

La relativa gioventù della viticoltura neozelandese e la continua ricerca di una identità viticola nazionale ben definita comporta che le varietà utilizzate laggiù ricadano quasi interamente nel calderone dei vitigni internazionali (con qualche estrosa aggiunta), e Waiheke non fa eccezione.
La maggior parte delle superfici vitate dell’isola sono costituite da Syrah (circa un quarto del totale) e  da varietà bordolesi, con circa il 30% delle superfici impiantate con le varietà bianche internazionali tradizionalmente diffuse in nuova Zelanda (Chardonnay, Sauvignon blanc, Semillon, Pinot Gris e Viognier). Nonostante ciò, qualche sperimentazione varietale si sta facendo largo sull’isola: piccoli vigneti di Tempranillo, Montepulciano e addirittura Nebbiolo sono stati recentemente impiantati.2014-04-27 01.50.07

Una delle cantine più note e più grandi dell’isola è Man O’ War, l’unica situata nella zona orientale dell’isola, nelle vicinanze dell’omonima baia e raggiungibile tramite un percorso tortuoso. Fondamentalmente i titolari della cantina sono proprietari del terzo orientale dell’isola, in cui sono situati i vigneti e numerosi pascoli punteggiati dalle classiche pecorelle neozelandesi. La cantina in sé non è visitabile, ma la tasting room è una meta prediletta sia dai locali e che dai turisti.
Si tratta di una strana casetta circondata da un grande prato e dotata di portico, posta pochissimi metri dal mare; se si è fortunati e la ressa di famigliole e turisti non è eccessiva, è possibile fare una degustazione completa della linea “top” dei vini, in un atmosfera assolutamente rilassata e informale.

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I vini hanno nomi altisonanti, con rimandi alle tradizioni marinare e alla mitologia nord europea, area di provenienza degli avi degli attuali proprietari, ma onestamente non mi hanno molto colpito: in alcuni casi sono risultati eccessivi, in altri casi un po’ troppo anonimi. Nonostante ciò, mi permetto di fare un paio di segnalazioni, anche se si tratta di
bottiglie non facili da reperire in Europa. Se vi capitasse l’occasione il Syrah “Dreadnough” è un bel esemplare, dotato di naso concentrato con  pepe nero e bianco in evidenza, ma anche frutti rossi non invadenti, guarniti da tannini maturi e morbidoni.
Sul versante bianchi mi ha convinto il Sauvignon-Semillon “Gravestone”, caratterizzato da un naso verde e freschissimo, un corpo scattante ma dotato comunque di quel pochino di ciccia che non guasta, derivante dal veloce passaggio in legno. Sconsiglierei lo Chardonnay “Valhalla”, veramente troppo legnoso e vaniglione, e il Pinot Grigio “Exiled”, che in linea con lo stile neozelandese presentava un residuo zuccherino imbarazzante; i due tagli bordolesi non mi hanno invece  trasmesso nulla, né in bene né in male.

Ho lasciato Waiheke con il solo rimpianto di non avere a disposizione più tempo per esplorare e conoscere altre produzioni dell’isola e, nonostante abbia avuto la concreta impressione che le cantine si stiano muovendo per tentativi, senza avere ben chiara quale sia la propria identità e quale la direzione da seguire, una seconda visita in futuro è da considerarsi obbligatoria.

Prossimamente arriveranno un paio di pezzi relativi ad altre zone viticole neozelandesi…perciò, stay tuned!

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