Happy ending

La vendemmia prosegue a ritmo serrato, le settimane passano scandite dal (quasi) monotono susseguirsi di turni, camion e presse.

Dopo un po’ si perde quasi il contatto con la realtà, si arriva a casa alle 8 del mattino, quando tutti sono incolonnati ai semafori in direzione del posto di lavoro. Non ho mai sperimentato prima una situazione del genere; non è certo la mia prima vendemmia, talvolta mi è capitato di lavorare anche 14 o 15 ore in una giornata…ma si trattava di iniziare la mattina presto e finire a notte inoltrata, mantenendo un ritmo circadiano. Qui invece è tutto il contrario!

Quando arrivo a casa cerco, prima di dormire, di prestare un po’ di attenzioni a chi è a casa, e provo a tenermi aggiornato su quello che succede nelle mie zone…Facebook,Giornale di Brescia, Eco di Bergamo, Terra Uomo Cielo sono tappe fisse del mio web-pellegrinaggio pre-onirico del mattino.

Poi ad un certo punto decido che basta, è ora di dormire; crollo e riemergo dalla catalessi solo una decina di ore dopo, giusto in tempo per un hamburger e una birra alla tavola calda, un paio di Camel e un altro giro di giostra sta già incominciando.

Penso che c’è chi lo fa per tutta la vita…onore a loro, non so se ce la farei.

Come detto la squadra è rodata e si lavora benino, anche se la perfezione non è di questo mondo, e ogni notte porta con sé il suo carico di rogne, ben nascoste e pronte a saltar fuori, magari verso l’alba, quando sono intirizzito, bagnato e particolarmente irascibile.

Nonostante tutto, però, sembra che quello che facciamo non sia mai abbastanza; puntualmente, ad inizio turno, il nostro supervisore ci comunica le lamentele dei i responsabili del turno di giorno: nastri non sufficientemente puliti, presse non svuotate, tombini intasati, camion delle vinacce stracolmi. All’inizio ce la si prende, a nessuno fa piacere essere cazziato ad ogni piè sospinto per cose che si pensa di aver fatto al meglio, o al limite delle proprie capacità e possibilità.

Con il passare dei giorni realizziamo che in realtà dietro a tutte queste rimostranze c’è una punta di invidia e di cattiveria, e la convinzione di mettercela tutta ci farà propendere per l’auto-assoluzione. Ce ne freghiamo, facciamo le stesse cose di quelli del giorno, ma con la metà delle persone: oltre non arriviamo, non ce la si fa.

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Lo chardonnay continua incessante ad arrivare giorno e notte, mentre il pinot nero è quasi sempre appannaggio del turno di giorno. Stando ai nostri “work order” l’uva arriva da diverse località della California settentrionale, distanti talvolta anche centinaia di chilometri; questo dovrebbe garantire una buona variabilità della materia prima.

In realtà la qualità di questo chardonnay va dal sufficiente al mediocre, senza grandi exploit; invariabilmente, che sia colto a inizio settembre o a metà ottobre si presenta cotto, con un acino poco turgido, livelli di zuccheri mostruosi e acidità scarsine. Quello che viene vendemmiato a macchina, addirittura, si presenta generalmente come un minestrone d’uva, che cola e zampilla ovunque. Ad ogni modo, a tutto ciò verrà poi posto rimedio in cantina: aggiunte di tartarico, diluizioni con acqua o addizioni di vino dealcolato…non ci si sorprenda, l’enologia d’oltreoceano è anche questo!

Verso la seconda metà di ottobre lo chardonnay smette di arrivare, con un po’ di ritardo rispetto alle previsioni; il pinot lo seguirà di lì a poco. Il nostro turno inizia ad essere di troppo; veniamo spostati, smembrati, fatti ruotare…dopo poco ci troviamo ad essere sovrapposti e uniti al turno di giorno, e la cosa non ci fa particolare piacere.

La monotonia del duopolio chardonnay/pinot noir viene interrotta, nelle ultime due settimane di vendemmia, dall’arrivo di uve a bacca nera che sono mandate in lavorazione nel nostro impianto per conto di altre cantine del gruppo. E allora diventa un po’ più stimolante lavorare..cabernet sauvignon, franc, merlot, petit verdot, syrah, petite syrah e il fighissimo zinfandel (a.k.a. primitivo), che in macerazione libera un sentore di liquirizia che è un “balsamo”, direbbe la mia nonna.

Si seguono protocolli di lavoro differenti, poiché l’uva non è roba nostra; perciò al bando le follature utilizzate per la fighetta pinot noir, e via libera a ben più maschi e brutali rimontaggi che, vista la conformazione open top dei serbatoi, vengono fatti in maniera molto old-style, irrorando il cappello di vinacce dalla sommità della vasca, come un bacchico vigile del fuoco.

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A tutto questo si aggiungono le svinature, che si fanno via via più serrate: tutto rigorosamente manuale, pala e forca, alla faccia dell’evoluzione tecnologica iuessei; e anche qui scatta, bonaria e un po’ cazzona, la competizione. Bisogna dimostrare agli altri che la propria tecnica di spalata è migliore e più veloce, e che i membri del proprio “team” di svinatura sono più affiatati dei membri di tutti gli altri team. In realtà quello che si ottiene è solo un grande mal di braccia, e ben poca gratificazione.

Ma poco importa, la stagione sta volgendo al termine, e tra poco inizierà la parte “succosa” di tutta la vicenda. Mi sono tenuto due settimanine di relax on the road, insieme a Carlo e ad Andrea, un altro ragazzo italiano conosciuto qui…vi do solo un dato: dal 23 novembre al 7 dicembre sono stati percorsi qualcosa come 6000 chilometri, in lungo e in largo per la California, il Nevada e l’Arizona.

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La mia breve narrazione termina qui, spero di aver soddisfatto i pochi e pazienti lettori.

Le mie valutazioni personali sull’esperienza fatta penso interessino poco i lettori, e comunque non è mia intenzione tediare nessuno.

Il mio scopo era semplicemente intrattenere con qualche aneddoto leggero e offrire il mio limitato punto di vista su qualcosa che non si vive comunemente, e che forse resterà un’esperienza unica anche per me…una vendemmia dall’altra parte del mondo!

Spero di esservi riuscito, vi ringrazio.

M.

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