Franciacorta e zonazione: Comune e sottozona in etichetta

Penso continuamente a come la globalizzazione abbia determinato la svalutazione dei beni artigiani che il nostro paese ancora produce. Tutto è commisurato al prodotto finito tralasciando quegli aspetti culturali che se compresi, e usati a dovere, accrescerebbero il valore del bene stesso. Questo perché un pezzo di terra diverso da un altro -e a parità di metodo- è in grado di conferire caratteristiche uniche a un vino, a una passata di pomodori, a una marmellata, a un olio… L’unicità di una produzione è anche (e soprattutto) conseguenza delle scelte dell’uomo che interpreta in maniera differente la trasformazione della materia prima; ne determina il gusto ne stabilisce la forma…

A questo si sono aggiunte le D.O. per mettere ordine, in quasi tutto uguali a quelle francesi ma con differenze sostanziali. Mentre in Francia si è puntato a ridurre ai minimi termini le denominazioni frazionandole con le varie “Appelation” in maniera da diversificare ulteriormente qualcosa di già unico (unicità ed esclusività), in Italia ci s’interrogava su come due proprietari di cantine attigue potessero andare d’accordo fra loro.

Un buon esempio italiano viene dalle Langhe, dalla terra del Barolo, dove allo stesso modo dei francesi si è fatto ordine sulle “denominazioni comunali” (per non dire appelation)  dove si riporta in etichetta Serralunga piuttosto che Monforte, La Morra, Verduno, ecc. e ancora di più in quei “Cru” che in alcuni casi sono ad appannaggio solo di pochi produttori come la Ginestra, le Coste, Mosconi, Cannubi, Boscareto, Bussia, ecc. Sottozone con esposizioni e altitudini particolari rispetto ad altre, in grado di produrre uva dalle indiscusse peculiarità e vini altrettanto unici.

Barolo, Conterno, Monfortino
Barolo

Non solo parole ma anche una regolamentazione produttiva che si restringe a seconda di come si voglia rivendicare quel determinato barolo in etichetta. Produrre barolo senza riconducibilità ad alcuna zona consente di produrre 70 quintali di uva per ettaro, riportare anche Serralunga, signicherebbe produrne 60 e introducendo anche il “Cru” si scende a 50 quintali (i numeri sono esemplificativi perché ricordo a spanne). Grazie anche a questo sistema di valorizzare dei suoli e quindi dei frutti prodotti, lo scorso anno l’uva di nebbiolo da barolo ha avuto un prezzo medio di 3,20 euro il chilo contro 1,30 del nebbiolo da barbaresco, dove il medesimo sistema, evidentemente, ha qualche falla in più.

Con tutto questo davanti agli occhi da anni, mi sono chiesto perché in un territorio così poliedrico come la Franciacorta (dove per evidenziare differenze tra un paese e l’altro e ancora tra un vigneto e l’altro, non ci si deve ingegnare molto) non si stia lavorando anche in questo senso. L’orgoglio del produttore di riportare in etichetta anche il nome del paese e della sottozona nella quale lavora la vigna, può essere un significativo strumento per migliorarsi ogni anno e per comprendere il valore della terra in relazione all’uva e quello del vino stesso.

Franciacorta, Wine, Arcari e Danesi
Franciacorta

Pensate al Monfortino di Conterno e al vigneto Francia da dove arriva l’uva; sono 14 ettari di cui 11 a nebbiolo e 3 a barbera. Da una selezione dei primi 11 nasce il Barolo Riserva Monfortino. È l’unico importantissimo Cru che appartiene a una sola azienda, mentre in altri casi (Brunate, Bussia, ecc) producono più aziende ma pur sempre in un concetto di esclusività, qualità superiore e valore intrinseco, di assoluto livello.

Pensare a un Franciacorta di Erbusco nella zona del monte vicino il cimitero, oppure di Gussago con la Cudola, o di Coccaglio e Cologne con il Montorfano, o ancora Passirano con le vigne ai piedi di Monterotondo, le prealpi “verticali” di Monticelli, mi sembra il modo migliore per comprendere questo territorio e per conferirgli il valore che merita.

Ridurre ai minimi termini per accrescere qualità e valore.

Sarebbe davvero interessante se in consorzio si aprisse una discussione in tal senso…

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17 risposte a "Franciacorta e zonazione: Comune e sottozona in etichetta"

  1. Non conosco il disciplinare a menadito, e non so quindi quanto sia il reale spazio di manovra del singolo produttore in fatto di etichettatura, però penso che la vera svolta debba partire da chi produce: se intanto iniziassero ad introdurre dettagli maggiori (tranne i casi di cuvéè molto complesse, ovviamente!), magari in retroectichetta, i consumatori potrebbero cominciare a farsi un’idea delle differenze che sentono nel bicchiere. E le unicità, quando sono vere, risalterebbero subito e farebbero nascere la curiosità al consumatore, quello almeno attento…, a chiedere ed informarsi di più.

    1. Antonio, una cosa come quella che ho descritto è questione delicata e va controllata e accettata da tutti perché possa avere l’importanza che merita.
      Non è scrivendo nella retro 71% chardonnay e 39% pinot nero che emergono le unicità, perché poi tocca all’uomo dimostrare quello che sa fare con la materia prima, quali scelte, quanto tempo…
      Credo molto di più a un Vigneto Francia che posso vedere e poi bere, piuttosto che a un intruglio di informazioni difficilmente inconfutabili.

  2. Una piccola correzione: il vigneto Francia non è l’unico grandissimo vigneto “monopole”.
    Ci sta pure Monprivato dell’azienda G.Mascarello.
    Ne seguono altri tipo Bricco Boschis di Cavallotto.
    Per fortuna 3 cru sublimi in mano ad altrettanti produttori sublimi. Immagino il Monprivato in mano ad altri produttori e mi vien la lacrima di tristezza.

    1. Correzione puntuale, Chiaro! “Unico” è sbagliato ma converrai con me sul fatto che sia il più conosciuto per grandezza (grandezza intesa come importanza nella storia del Barolo).

  3. Parole SANTE! Giovanni! Purtroppo qui si parla solo di marketing,sud est Asiatico ,Cina Russia, e si beve sempre più robaccia. . . la vedo dura. . Scusami il pessimismo. Sarebbe una cosa doverosa fare un minimo di classificazione,o la dicitura in etichetta del comune . speriamo che si animi un pò la discussione. E Chiedo ai produttori in ascolto , so che siete li a leggere il post. di Giovanni. Dite la vostra! Parliamone! Grazie Giovanni

  4. Secondo me bisogna fare un po’ i furbetti per forzare la mano.
    La Derbusco Cives ha gia tracciato il solco chiamandosi come si chiama. A nessuno vien da pensare che l’uva per fare i suoi franciacorta arrivi da Ome o Gussago o Adro. Oppure si usi il nome latino del comune…..
    Se tutti usassero questo metodo i grandi capi dovrebbero prendere atto della cosa e far buon viso a cattivo gioco.
    Certo, chi fa cuvée tirate in centinaia di migliaia di bottiglie non sarà contento di non poter usare una pseudo menzione comunale solo perchè usa uve che arrivano da ogni unto cardinale della Franciacorta, ma anche in Francia non tutti possono scrivere “Pommard” o “Montrachet” o “Vosne-Romanée” e devono “accontentarsi” di scrivere “Bourgogne”.
    Sperare poi in una classificazione che vada oltre il “village” e indicare premier cru o grand cru la vedo impossibile.

    1. Sono perfettamente d’accordo con te anche in merito all’impossibilita di classificazioni in “premier cru, ..cru, ecc “. Quel tipo di valore lo si potrà attribuire -forse- dopo un secolo, grazie a chi saprà creare un grande vino rivendicando la zona e sapendo attribuire allo stesso l’importanza (anche economica) che lo stesso dovrà avere.

  5. Giovanni, come sai nel disciplinare del Curtefranca Doc esiste la possibilità di utilizzare la menzione vigna, seguita da un toponimo o nome tradizionale che identifichi un’area ben precisa dalla quale provengono le uve; tra l’altro l’uso di questa menzione è stato di recente regolamentato a livello nazionale , ad es. il toponimo deve essere rivendicato , deve avere un riscontro nome “cartografico” o avere un uso tradizionale dimostrato ed essere inserito in un elenco ufficiale regionale: non potrebbe essere una buona base di partenza?

    1. Giovanni ti parlerò in francese; non confondiamo una torta Sacher con una montagna di merda. A che serve utilizzare la menzione “vigna seguita da un toponimo” se le regole sono le stesse? Introdurre il nome del comune e del toponimo significa migliorare ulteriormente la qualità dei vini prodotti, significa produrne meno, significa che ogni bottiglia costi di più produrla.. significa averne un numero preciso e non di più. Mettere solo un nome, sempre in francese, non serve a una beata mischia.
      ti rimando su fb a questo scambio che ho avuto con il vice presidente Brescianini che evidentemente crede che il valore di una vigna lo si debba stabilire con i voti del cda del Consorzio.

      1. Giovanni, guarda che per poter aggiungere la menzione vigna le regole sono diverse, rese e parametri analitici più restrittivi, tempi di affinamento più lunghi e anche modalità di affinamento diverse, almeno così è nel disciplinare del Curtefranca. Il traslare ciò nel disciplinare del Franciacorta Docg , incrementando ancor più i parametri produttivi di qualità, porterebbe esattamente a quello che dici tu.

  6. ma dai, per aumentare la qualità basta mettere in vigna, fronte strada trafficata, in modo del tutto arbitraio un bel cartello con scritto:”VIGNETO CLASSIFICATO 5 STELLE”.
    Sarebbe bello sapere chi ha fatto questa classificazione.

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