È consuetudine: i pensieri si muovono confusamente in questa ruota per criceti pigri che impropriamente chiamo cervello, ma a volte le sinapsi funzionano q.b. e percorrono la faticosa ruota del percetto. Ad una settimana dall’enoevento artigiano scarabocchio anch’ io qualche ricordo su questo foglio.
Trio #TUC (le quote rosa di terrauomocielo) al completo in quel di Piacenza. In “onda” la terza edizione della Mostra Mercato Dei vini e Dei Vignaioli Indipendenti. La regia F.I.V.I. ha saputo mettere in scena anche quest’anno un evento ricco e ghiotto di enoicità artigiana (e non solo). Foltissimo il gruppo di vignaioli che con gli artigiani del cibo hanno animato e nutrito la due giorni piacentina.
Tempo e spazio, persone e linguaggi. Penso alla socialità (non virtuale) e al Vino. Fine e mezzo di viaggi e incontri, catalizzatore sociale e culturale. Nettare in cui perdersi e alienarsi (o ritrovarsi). È per lui che ci si accende, appassiona, infervora. Per lui si spendono parole, si cercano (sprecano?). Proprio il linguaggio è stato il tema proposto in uno degli incontri organizzati durante l’evento.
“Il linguaggio è codice, sintesi di una comunicazione complessa, spartiacque di mondi vicini solo merceologicamente. Il linguaggio oggi è la frontiera del buono che da solo è un concetto assolutamente inadeguato al racconto del vino.”
Incipit interessante per chi, come la sottoscritta, ha a che fare quasi quotidianamente con il racconto del percepito. Ad animare la discussione, Gaetano Verrigni, (pastaio) Luigi Cataldi e Madonna, Grosjean (vignaioli). Si è parlato di artigianalità quale espressione di maestria, irriproducibilità e unicità di un prodotto. Smorfia di disappunto quando sento chi sostiene di “decentralizzare il fattore uomo”. È proprio nella relazione inscindibile tra l’artigiano e la sua interpretazione di un prodotto (e un territorio) che risiedono e vanno comunicate quelle unicità. L’artigiano è spettatore e attore, interprete ed arteficie. È in ogni calice. Si è affrontato solo marginalmente a mio avviso il tema dell’incontro. Vero che le parole nell’enomondo si sprecano, ma in questa sede mi sarei aspettata un sano chiacchericcio.
Ma lasciamo che a parlare siano i calici. Animata (ci provo sempre, giuro!) dalle migliori intenzioni, appunto diligentemente sul catalogo i “must taste”. “Ragazze io salto a piè pari amici, conoscenti e alcune regioni. Ci sono troppe cose da assaggiare!” Come previsto le poche ore a disposizione le abbiamo spese salutando amici e conoscenti, rifocillandoci con i “finger food” proposti nell’angolo ristorazione (non ho mai temuto una lasagna fino alla scorsa domenica)
e assaggiando confusamente, compulsivamente e in assoluta rilassatezza.
(Fortuna che 2/3 del trio TUC è Instagram addicted. Rubare scatti è facile)
Invidio un po’ i “degustatori seriali” che con metodo (?) e misura assaggiano, appuntano, valutano e ricordano. Siamo molto diversi. Ecco, forse per il prossimo anno eviterei l’effetto “caccia al tesoro”. Continuo a preferire la cara vecchia suddivisione geografica (pur comprendendo la scelta fatta). Quantomeno ricordiamoci di indicare il numero assegnato in catalogo anche sui cartelli. È risaputo che siamo tendenzialmente pigri, assetati e pure suscettibili. 😉
L’ultimo pensiero lo rivolgo all’ufficio stampa. Alla sua competenza, gentilezza, precisione. Comunicare non è uno scherzo. C’è chi non scherza affatto! Brava Sbalchi.