Oggi il mercato, in netta contrazione, crea annebbiamento nelle idee e determina il puntamento del dito in maniera inequivocabile. Pare che si sappia di chi sono le colpe, si è certi di dove stiano le azioni inutili, quelle convenienti per pochi e quelle dannose per i più. Tutti sanno dove sta il problema e hanno pure le strategie per risolverlo. Si analizza l’etimologia di ogni termine per perseguire l’errore commesso da altri e si è certi che le responsabilità di tutto siano attribuibili a qualcuno che sta all’infuori dei singoli confini di ognuno. Di dubbi non ce ne sono, mai. Certi di aver fatto bene per se stessi e di aver fatto tutto il possibile per migliorarsi?
Quando il periodo era più giocondo, non c’erano meriti da attribuire se non a se stessi e tutto andava e basta, perché tutti si era bravi e ci si misurava con i numeri;
-tu quante?
-70 mila, tu?
-beh io 200 mila ma poi faccio il salto a 300.
E la storia, breve, ci consegna un’invidiabile gamma di salti; da quelli nella piscina vuota, ai carpiati di faccia sull’asfalto, fino ai salti nei quali non ci si trova più la terra sotto i piedi e dove l’atterraggio è utopia e lo schianto certezza.
Poi le soluzioni, che non tengono mai conto della storia recente e delle cose che si sono ignorate, forse perché troppo intenti al “gongolamento” da incredibile prestazione personale? La sana curiosità per scoprire come hanno fatto quelli che il successo di un territorio sono stati capaci di radicarlo e consolidarlo nella cultura di tutti i giorni, è un fatto al quanto marginale e superfluo? Il confronto?
Oggi ci si ritrova tra le mani le conseguenze di scelte che si sono rivelate sbagliate e diventa impellente attribuire colpe per scansare le proprie, quando invece sarebbe più opportuno trovare le soluzioni. E quando si sarebbe potuto intervenire preventivamente? Se all’epoca non si era compresa l’importanza –e le controindicazioni- di certe scelte tanto da ignorarle, perché oggi tanta certezza e tutta insieme? Le colpe sono di chi ha preso delle decisioni come di chi le ha ignorate e non ha fatto nulla per provare a ribaltarne le sorti. Le cose sono due, o s’ignoravano per distrazione da benessere oppure perché la capacità di comprenderle era assai risicata. Oppure entrambe.
Adesso le idee, nate (pare) dal momento difficoltoso fanno gridare che il territorio è di tutti ma si aspetta l’avvento di qualche esecutore perché possano essere concretizzate. Se è di tutti, è necessario che tutti quanti portino un poco di valore aggiunto al bene comune. Se è di tutti, che il rimbocco di manica sia collettivo cominciando a riordinare il proprio spazio.
Gentile Arcari,
le politiche di cartello secondo lei, arrivati a questo punto della storia economica, possono così come sono continuare a tutelare la Franciacorta, o hanno forse bisogno di fare un passo successivo per meglio rispondere ai tempi, e garantire territorio e prodotto?che direzione prendere? grazie,
Luca
Gentile Luca,
non parlerei tanto di “politiche di cartello” ma piuttosto di politiche sbagliate che hanno compromesso una crescita lineare e controllata di territorio e prodotto.
Partendo dall’uva sarebbe necessaria un’associazione di viticoltori (e già questo è abbastanza utopico) che stabilisca, in un tavolo di trattativa, il prezzo della materia prima; oggi da cani sciolti ognuno vende come vuole fottendo il prossimo e con una politica al ribasso che favorisce solo gli speculatori, consentendogli di vendere franciacorta a 3 euro. Partirei da qui, partirei dall’uva.
ciao
condivido quanto dici e apprezzo lo spirito costruttivo del tuo approccio
non colgo invece se vi è stato un motivo o un fatto specifico che ha causato questa tua riflessione
forse ho perso qualche puntata?
Ciao Mauro,
la riflessione scaturisce da anni di situazioni che l’hanno stimolata. Indicarti un solo punto sarebbe troppo poco