Lionel è un francese di Lione che vive in Italia da anni e che oggi occupa stabilmente i vicoli del centro di Brescia e incontrarlo in qualche bar il sabato all’ora di pranzo è cosa frequente. E’ fotografo e Brescia la immortala a modo suo e con i suoi colori e dai suoi scatti è palese l’amore per la città che anima i suoi click, certamente lo stesso che l’ha portato a scrivere questo post. Ho deciso di pubblicare il suo pensiero perché condivido la smorfia di sofferenza dinanzi alla qualità della cultura perché sta alla base del livello qualitativo di qualsiasi prodotto di un territorio e del pensiero di una comunità.
G.A.
Nell’ex Unione Sovietica, che fosse lunedì o qualsiasi altro giorno della settimana, a pranzo come a cena, sapevi già che a tavola avresti trovato la tua razione di salsiccia, patate e verza. Sai che fantasia! Una cultura gastronomica ridotta all’uso di pochi alimenti per merito di un apparato politico che proibiva qualsiasi forma di “contaminazione” esterna. E dal proibire al non incentivare, non c’è tutta questa differenza..
A Brescia, ridente cittadina ai confini della pianura padana, con la cancellazione del Festival del Circo Contemporaneo (che portava gente da tutta l’Italia e persino dall’estero, sia sui palchi che lato pubblico) è scomparso l’unico e ultimo contenitore artistico in grado di contribuire in modo sostanziale all’arricchimento culturale locale.

OK, lo so cosa mi direte, lo so benissimo!
Delle grandi mostre di Santa Giulia te ne sei dimenticato? E del festival delle X giornate? E degli spettacoli del Grande? E cip e ciop?
Mi dispiace ma una rondine non fa primavera e anche se una mostra come “Novecento mai visto” organizzata quest’anno è stata l’occasione di un certo “respiro”, purtroppo non era iscritta all’interno di un ciclo che potrebbe portare Brescia a diventare un nuovo polo attrattivo in Italia e in Europa per l’arte contemporanea.
Riguardo alle altre “grandi mostre” (Monet, Magritte, gli Incas, etc) stenderei un velo pietoso dato che alla fine hanno portato più debiti (veri) che benefici alla città, ma ci voleva davvero poco per non accorgersene prima, dato che di mostre di Magritte e Monet ce ne saranno state almeno 500 dall’inizio del secolo nella sola Padania.
Le “X giornate” invece sono il tipico esempio di manifestazioni che perdono anno dopo anno smalto (i tagli alla cultura, in questo avranno sicuramente la loro parte di responsabilità ma non solo). Per non parlare della “Biennale della fotografia” che da segni inquietanti di spegnimento dopo varie edizioni in cui comunque non è mai riuscita a “sfondare” sia nel livello di coinvolgimento (paragonata al festival della Fotografia Europea di Reggio Emilia dove l’intera città si adopera in mille modi c’è un abisso) che di programmazione.
Il Teatro Grande invece non lo considero nemmeno. La sua programmazione è sempre stata di ottimo livello ma si può giudicare l’offerta culturale di una città basandosi sulla programmazione di un singolo teatro? Lo fareste voi per Milano? Londra? Parigi? ecc.
Alla fine (ed è molto triste dirlo), l’unico evento che porta ancora Brescia ad occupare un po di spazio nei giornali e telegiornali nazionali e di tutto il mondo per qualche giorno all’anno, è la “1000 miglia”. Ma se questo lo chiamate Cultura, allora non c’è da stupirsi se siamo ridotti a questo colabrodo…
A fronte di tutto questo, la vita culturale bresciana, da qualche anno, si riassume in un semplice susseguirsi di eventi, manifestazioni e notti bianche che si auto alimentano da ogni punto di vista. Gli artisti locali, “animati da una straordinaria generosità nei confronti dei loro concittadini”, esporrebbero/suonerebbero anche 365 volte all’anno sullo stesso km quadrato. Questa generosità viene spontaneamente ripagata sia dai gestori di spazi addebiti alla cultura (gestori di locali in primis), sia dall’amministrazione locale, che si tolgono così il problema di dover cercare qualcosa di diverso da proporre al popolino. E il cercare qualcosa di diverso, come si può ben immaginare, ha un costo, e se puoi avere il prodotto locale “gratis” allora tanto vale prenderselo.
Il risultato finale è davanti agli occhi di tutti (ovviamente per quelli che vogliono vedere): lo stallo assoluto, notti bianche e manifestazioni culturali che vanno avanti appoggiandosi sul patrimonio e sulla produzione artistica locale e tante, tantissime occasioni perse di aprirsi verso l’esterno, verso altre culture, verso altri linguaggi artistici, verso altri modi di vedere e di pensare.
Ricordiamoci sempre che l’Arte contribuisce sia all’educazione che alla formazione delle persone. È uno dei motori di crescità di una nazione, di una città, della sua gente e un regime di “patate, verze e salsicce” (anche se a km zero e di ottima qualità) significa condannarsi alla decadenza culturale.
Io sono Bresciana, ma ho lasciato la città oltre 20 anni fa. Devo dire che rispetto ad allora, quando torno, ritrovo una città decisamente più viva, sia a livello sociale, che culturale – e non parlo certo delle mostre sui Maya, Matisse, etc. Ho fiducia nella nuova amministrazione e penso che le si debba dare tempo, ma credo ci siano persone che hanno a cuore la cultura molto più delle amministrazioni passate. Diamo tempo al tempo. Il Bresciano è ostico da educare e per questo mi sembra rischioso parlare di responsabilità dei gestori di locali: per esperienza so che non è facile portare nei locali abbastanza persone da permetterti di prendere “rischi” e non è poi così semplice trovare nuovi intrattenitori, scovarli ed in più assicurarti una serata che non sia in perdita, ma anche solo alla pari, accontentandoti della pubblicità. Ma di passi avanti, da 20 anni a questa parte, se ne stanno facendo, ed i bresciani oggi fanno di più e chiedono di più – anche i nuovi bresciani, come te. Un passo dopo l’altro e, giustamente, una critica costruttiva dopo l’altra, continuando nel frattempo a contribuire come possiamo a livello personale. Bacio
i bei sermoni non costano niente, ma spesso valgono altrettanto.
Ciao!
Come disse goffamente un calciatore qualche anno fa “sono pienamente d’accordo a metà” con le parole di Lionel!
Sono orgogliosamente bresciana, nonostante me ne sia stata in giro qua e là negli anni. Ho respirato arie “diversamente colte” e sicuramente più coraggiose…ma non vedo tutto grigio.
Non mi metto a giudicare “chi non fa cosa” ma mi permetto di spezzare una lancia in favore di “realtà che funzionano” come la sopra citata “Mille Miglia”…credo sia un esempio perfetto di dialogo fra diversi attori, fondamentale per creare stimoli, aggregare persone, smuovere PASSIONE.
Che sia per una bella auto, un bell’orologio, un buon bicchiere di bollicine “scroccato” alle feste più esclusive della città dove dire sfigatamente “io c’ero”, la passione e le passioni sono ancora “i motori” (e ridaje) a smuovere sia le masse che quella cricca di pochi eletti che la manifestazione la vivono in prima persona.
Credo che l’arte debba imparare dal design a rendersi utile. Dalla street art a essere più tagliente e coraggiosa. Dall’advertising a essere efficace e comunicare in maniera utile ai più. E dai mercanti a sapersi vendere senza bisogno di mercanti. Se i vecchi canali non funzionano più creiamone altri, traendo spunto da quelli che invece continuano a farlo e a portare il nome di Brescia nel mondo.
La Mille Miglia funziona perché a muovere tutto concorrono potentissimi elementi come la passione intramontabile di ex bambini che non hanno smesso di esserlo, l’eccellenza del design, della manifattura e della meccanica (frutto del lavoro di sapienti mani di meccanici e professionisti di ogni sorta), il prestigio di marchi (gli sponsor) che hanno saputo conservare e divulgare il loro stato dell’arte, l’aggregazione fra diverse classi sociali, l’atmosfera di festa, la continuità della tradizione ma soprattutto una comunicazione impeccabile, di un’identità chiara e definita. Non meno importante il fatto che tutto verta attorno ad una passione condivisibile da appassionati di tutto il mondo, e nemmeno di un nostro prodotto autoctono.
SPETTACOLO! NOO?
Non ci piacciono i motori? Facciamoci furbi e creiamo altre storie. Usiamo in maniera del tutto onesta i soldi degli investitori più sensibili e raccontiamole con l’arte. L’arte sta in ogni cosa. Deve solo uscire un po’ dal suo egocentrismo e mettersi al servizio della committenza. Con garbo. Ma anche con astuzia. Non è più tempo del superfluo.
Solo così può diventare appetibile. Alle aziende, come veicolo pubblicitario. Alla città, con progetti finanziati da sponsor tecnici. Infine ai privati. Usando anche il potentissimo “non luogo” del web per accrescere consensi e non solo! (date un’occhiata a Kickstarter.com)
Io lo vedo come un sano compromesso per dare ancora voce alla bellezza, alle arti più varie, all’esperimento, a nuovi scambi, nuovi linguaggi. Invito gli artisti di ogni sorta a essere più sfacciati. Autogestirsi. Aggregarsi se può essere utile. Avere nuove idee. Capire cosa serve per realizzarle e REALIZZARLE. Trovare sponsor. È pieno di gente illuminata e pronta a investire nel bello. A partire dalle Accademie di Belle Arti, ad esempio la Santa Giulia, che con sempre nuovi programmi didattici mira a formare i nuovi “costruttori di bellezza”, arrivando a quegli imprenditori che hanno la sensibilità e il rispetto per la bellezza e contribuiscono a farla crescere.
Egregio sig. Pea
Ha torto quando dice che i bei sermoni non costano niente e ragione quando dice che valgono altretanto. Mi spiego.
Fare un bel sermone costa, e anche parecchio. Costa fatica, costa coraggio (quello di esporre una sua opinione sapendo di essere circondato da persone che per la maggior parte ti saranno ostili), costa anche pazienza (per non rispondere a tono a chi ti offende o ti insulta), insomma costa punto. Di sicuro costa molto meno starsene zitto.
Invece ha ragione quando dice che i bei sermoni valgono davvero poco. Più che altro servono poco. E a questo proposito la ringrazio perché Il suo commento ne è stata la perfetta dimostrazione.
Saluti.
Ps. Sil Conti ti rispondo giuro!!!!