Dopo anni di lotte interne, incomprensioni, prese di posizione, idee gestite alla “meno peggio” e qualche mal di pancia, si credeva che la discussione in merito alla DOC Valtènesi e il vitigno Groppello fosse giunta al termine sfociata in un bel compromesso… e invece mi sbagliavo.
Ora che l’attuale presidente del Consorzio ha scelto incarichi di diversa responsabilità presso l’ente vini bresciani, si aprono all’orizzonte due diversi scenari o per meglio dire due differenti correnti di pensiero.
Da una parte chi auspica l’evoluzione della nuova Valtènesi con il progressivo abbandono delle altre denominazioni quasi fotocopia della stessa e altri, decisamente più nostalgici, convinti che si debbano mantenere anche le vecchie denominazioni e che serva maggior identità per il vitigno Groppello che con il Valtènesi è presente fino al 50% (che in futuro arriverà al 75%). In sintesi non si va d’accordo per niente e in tutto questo ci si mette pure “La Confraternita del Groppello” in abiti talari, che insorge e si schiera dalla parte del vitigno.
Come si può pensare di costruire un territorio se manca coesione d’intenti fino a questo punto? Così diventa impossibile pure sperare che un vino abbia una sua precisa identità e difatti, dalla sua uscita, il Valtènesi ha galleggiato nel fragoroso silenzio dal quale è stato generato. Nessuno sa cosa sia.
Cosa succederà ora che la presidenza del Consorzio Garda Classico/Consorzio Valtènesi si rimetterà ai voti? Rimescoleranno le carte e il disciplinare cambierà nuovamente? Si comincerà a dire al mondo che esiste un vino che si chiama Valtènesi? Cosa?
Credo sia molto difficile che la Valtènesi possa diventare un territorio vitivinicolo “riconosciuto per…”, uno di quelli nei quali si è deciso all’unisono di creare un vino che sia figlio della cultura agricola delle sue genti. Mancano i presupposti e pure i successi, almeno quelli necessari nell’indirizzare la collettività dei produttori verso una strada piuttosto che un’altra. Insomma, manca ancora quel “per…” e manca un coraggioso capofila.
Senza un preciso accordo si rischia che anche l’ultima idea utile per il ri-lancio finisca in quel confuso contenitore che vede 4 milioni di bottiglie suddivise per un numero così ampio di denominazioni da confondere anche il campione del mondo delle tre campanelle al grido di “dove sta la pallina?!”. Serve ordine e chiarezza.
Attendiamo, più o meno. Fiduciosi poco.
Come si dice dalle mie parti…poche idee ma ben confuse.
Solamente parlando con 4 o 5 produttori differenti è possibile realizzare come ognuno abbia un’idea propria della D.O. Valtènesi: chi dice si debba puntare solo sul rosato e che Valtènesi debba essere sinonimo solo di rosato, c’è chi dice che il groppello è irrinunciabile, c’è chi dice che bisogna puntare sui rossi, chi un po’ democristianamente cerca di tenere un piede in due o più scarpe…un bel macello.
La genesi della DO è stata talmente lunga e con tanti avvicendamenti di attori, motivazioni e interessi al punto che nel risultato finale non si riconosce più l’intenzione iniziale.
Andando poi a vedere un po’ nel dettaglio gli aspetti delle strategie di marketing e della successive strategie di comunicazione e promozione, mi pare che si sia di fronte ad un lavoro scoordinato e raffazzonato…visto dell’esterno, eh. Poi, magari, dall’interno le cose cambiano.
Che posso dire: sono stato rieletto, come buona parte del precedente consiglio e son contento che il nuovo Presidente sia Ale Luzzago, vignaiolo decisamente convinto dell’importanza del ruolo che il territorio ha nell’artigianato del vino. Dovrebbe essere facile essere tutti d’accordo: la Valtènesi è terra antica ma piuttosto sconosciuta, il vino rosa è un elemento tradizionale fondamentale che non va trascurato, il Groppello è il vitigno autoctono su cui è imprescindibile puntare e la vinificazione in rosso è altrettanto importante e radicata nel dna dei produttori locali. Quindi abbiamo tutti ragione a difendere le molteplici personalità della produzione bresciana del Garda. Rosa o rossa, a patto che abbia nel Groppello la sua matrice fondamentale e nelle dolci colline non distanti dal lago il suo habitat. E che quindi si chiami Valtènesi. Come dicevo prima, dovrebbe essere facile. Basta un po’ di coraggio per prendere il distacco da quel nome Garda, che è importantissimo per far capire dove siamo, ma che nonostante i tanti anni passati in etichetta non è mai diventato sinonimo di vino di alta qualità.