Oggi si sa che l’acquisto di un vino è questione di consapevolezza, di conoscenza, di curiosità e sempre meno qualcosa di casuale e fortuito.
Dopo il mio ultimo viaggio negli Stati Uniti dello scorso giugno, me ne ero tornato in Italia conscio –ancora una volta- del fatto che il franciacorta non si possa proporre oltreoceano soprattutto perché non si è mai provato a stimolare la curiosità del consumatore, non gli abbiamo mai detto che esiste un territorio nel quale un insieme di uomini ha deciso di produrre un determinato vino… non gli abbiamo detto che franciacorta è Franciacorta.
L’ardire di arrivare con la nostra bottiglietta e di “stupire il Mondo” deve essere la rosea conseguenza di un lavoro che, a monte, sia capace di raccontare, incuriosire informare e formare e non l’unica strada perseguibile per il successo.
A fronte di questo -con una telefonata informale all’ A.D. del consorzio- avevo sollecitato a una riflessione approfondita, proponendo un’idea della quale non ho più saputo nulla. Mi piacerebbe sentirli, almeno per sapere “se stanno tutti bene”. Come procede? Ormai è ottobre… e mi auguro non si stia pensando a un altro capolavoro come il libro di un paio d’anni fa, magari in versione inglese, per fare breccia nel cuore e nei palati degli americani! 😉
ET telefona casa!
😀
ciao Giovanni, premesso che non sono a conoscenza della tua idea di penetrazione del mercato USA ti dico la mia. Gli Stati Uniti non sono certo la panacea di tutti i mali anzi già da un bel pezzo hanno smesso di essere il “nuovo mondo” cedendo il posto a Cina, Singapore, India e compagnia bella. Pensi che negli USA la situazione sia più rosea che in Italia? mah… dalla mia umile esperienza di vendita vino sul territorio americano non lo penso.
Gli americani puoi definirli come vuoi: open minded, giovani e appassionati e certamente desiderosi di conoscere il prodotto made in Italy, la sua storia, la sua qualità. Ma vendere Franciacorta è veramente difficilissimo, non dico lottare contro i mulini a vento ma quasi!
“Italian sparkling wine? Prosecco, more money I buy Champagne” questa è il pensiero USA (o estero in genere) che ho percepito. Detto ciò, non è forse più semplice prima affermarsi bene ed in maniera prepotente in Italia dove quasi l’80% del Franciacorta è venduto SOLO in Lombardia, Veneto ed Emilia??
Credo il lavoro da fare ‘a casa’ sia ancora tantissimo e per casa non intendo Italia, ma Franciacorta. La coscienza di un franciacortino sulla qualità del vino che produce il territorio dove egli è nato non è ancora per nulla radicata e profonda ed è su questo credo si debba lavorare: forse il libro sulla Franciacorta non ha risolto i mali del mondo ma senz’altro ha aiutato a costruire un’immagine di un territorio di altissima qualità!
Per ultimo le risorse e le energie sono poche e credo lo sforzo del Consorzio sia quello di concentrarle e focalizzarle al meglio, poi le teste sono tante e la perfezione non esiste. Detto ciò penso comunque che l’estero vado coltivato e preparato quindi lode e merito ai franciacortini che sanno vendere oltreoceano, ma forse servirebbe prima un bel 90 su Wine Spectator!
Mic
Andiamo per ordine: la mia idea è quella di creare una sorta di piattaforma comunicativa sugli Stati Uniti. Perché:
Gli USA per come ho avuto modo di viverli dopo le diverse trasferte, rimane un paese di gente entusiasta, attenta e curiosa, talmente curiosa che brama di sapere e qui nasce il problema e lo evidenzi anche tu “Italian sparkling wine? Prosecco, more money I buy Champagne”.
Acquisteresti mai qualcosa che non conosci minimamente? Riusciresti quantomeno ad attribuirgli un valore? No, e l’ignoranza del consumatore è colpa di chi produce (del sistema nel quale produce) e non di chi speriamo dovrebbe acquistare il vino. Chi visse sperando…
Ma parliamo del libro, che io considero nel rapporto qualità/prezzo e ci metto pure utilità e ritorno d’immagine, un vero e proprio flop.
“Senz’altro ha aiutato a costruire un’immagine di un territorio di altissima qualità!” Mic, non se l’è comprato nessuno e proprio perché le energie e le risorse sono poche non possiamo permetterci di sprecarle. Alcuno foto molto belle, certo!
Prima di avere un bel 90 su Wine Spectator è necessario che Wine Spectator sappia cosa sia il franciacorta e la Franciacorta e non credere che partano in tromba per correre a Erbusco.
Poattaforma comunicativa e un po vago, senza idee precise non si va lontano.
che mito sei, mi sembra di vederti accalorare sul tema!
Condivido sullo stile aperto, entusiasta e giovane degli americani, ma come dici tu qui si tratta di partire da zero meno zero, lo twittavamo poco fa: solo il 0,5% del Franciacorta è venduto nel continente americano e meno ancora negli usa, ora non sto dicendo che sugli stati uniti non serva investire (figurati lo facciamo noi con un importatore che vende esclusivamente franciacorta) ma non lo credo prioritario. Molto lavoro di ufficio stampa e relazione si sta facendo ed è stato fatto dal consorzio con i press tour ed il primo incontro ufficiale della Franciacorta con wine spectator lo scorso vinitaly, ma la strada è ancora lunga e complessa e forse non è una priorità…
Credo sia invece super prioritario insistere sul territorio italiano. Nella vendita estera il prezzo non è comunque un problema da sottovalutare: un Franciacorta costa molto più di un vino fermo, sia sangiovese toscano o chardonnay dalla sicilia territori più conosciuti che trasmettono italianità forte e vera… Franciacorta lo dici tu “non sanno che cavolo sia”!
Beh questo è il mio pensiero personale, Mic
Secondo me ragioni al contrario.
Non è che siccome solo lo 0,5% di quello che produciamo va in USA, allora non è un mercato interessante o prioritario. E’ da incrementare, perché li c’è la cultura per poter essere presi in considerazione e non scambiati per prosecchisti (con tutto il rispetto, naturalmente).
Vendere negli Stati Uniti non significa solo incrementare i numeri ma catalizzare un messaggio, diffonderlo in un popolo che comunica al mondo intero. Significa esportare prima di tutto un messaggio che poi sia sorretto da una massa critica quale conseguenza della domanda che la comunicazione stessa ha generato.
Il prezzo: Vogliamo capire che non stiamo producendo pentole? Il prezzo di un franciacorta è quello di qualcosa di unico prodotto in un unico territorio e non deve temere il prezzo di un verdicchio, di un lugana, di un brunetto… ( ma che ti fotte del sangiovese??). è sull’onda di questo pensiero che molti hanno svaccato i prezzi a discapito di tutto il territorio? Andiamo bene!
Il franciacorta non sanno che cazzo sia da nessuna parte del globo (sei l’unica a credere il contrario e a essere sicura che non si venda perché costoso), altrimenti stanne certa che la domanda aumenterebbe e questo non è il mio pensiero ma, come funzionano solitamente le cose.
ragioni da idealista… del sangiovese dell’alta maremma “me ne frega assai” perchè lo produco e ne vendo anche parecchio negli usa!!
è lapalissiano che il prezzo del Franciacorta è corretto, ma non discuto questo dicuto che un prezzo alto è una barriera all’acquisto evidente soprattutto se non conosci per nulla il prodotto e questo non lo puoi negare
Ragiono da realista, consapevole che le pentole non sono il vino.
Va bene per il tuo sangiovese (sono felice per te) ma non mischiare capre e cavoli.
Se una fiat punto costasse come una porsche, il prezzo sarebbe certamente una barriera e se la porsche costasse come una punto smetterei di credere che sia un veicolo tanto esclusivo come raccontano. Io i prezzi non li abbasso di certo e sono convinto che il problema non sia quello, bensì la consapevolezza nel consumatore di quello che sta acquistando.
ooooooo!!!!! ma vedervi e parlarne a quattrocchi???:-))))))
@Emanuele Rossi: il titolo del post non è “adesso vi spiego l’idea che ho avuto”.
HAI RAGIONE, MA SE NON CI SPIEGHI L IDEA COME FACCIAMO A SAPERE SE IL CONSORZIO HA FATTO BENE O MENO A NON RISPONDERTI?
IO SONO QUASI SICURO CHE LA TUA IDEA SIA MEGLIO DI QUELLE CHE HANNO AVUTO LORO NEGLI ULTIMI TEMPI COMUNQUE, PER QUESTO MI INTERESSAVA
Emanuele, rispondere è comunque cortesia a prescindere dalla qualità dell’idea, quindi non hanno fatto bene in ogni caso. Poi, dirigo due aziende regolarmente iscritte al consorzio…
Se il mercato Americano o solo inglese cominciasse a richiedere Franciacorta non sarebbe nemmeno possibile soddisfare la domanda. E a quel punto nascerebbero i French Cortei fatti in Virginia ed il consorzio avrebbe buttato soldi ed energie per nulla. Un po’ come accade al moscato in questo momento.
Penso che un eccesso di domanda sia un “problema” molto marginale in un territorio piccolo e con il problema esattamente opposto, dove c’è chi vende a prezzi da prosecco (con tutto il rispetto naturalmente).
Poi non credo che il successo passi esclusivamente dal numero di pezzi ma piuttosto dal valore medio di ogni singolo pezzo, ergo dal margine netto che si ricava: una maggior domanda rispetto all’offerta può implicare un aumento del prezzo medio del bene e io lo considero un aspetto indispensabile.