La Franciacorta si sa, è terra giovane, un insieme d’idee che ha visto l’apice della sua operatività quasi vent’anni fa e che oggi continua a lavorare per migliorarsi costantemente. È terra piccola e ancora un poco confusa o meglio, confusi sono alcuni suoi attori troppo distanti da un mondo del vino che incalza con la sua fame di sapere, conoscere e scoprire. E tra questi mi ci metto in parte anch’io.
Negli Stati Uniti ci sono stato tre volte negli ultimi tre anni e in ogni occasione ho portato vino da degustare. Ho partecipato a manifestazioni organizzate da terzi che avevano più l’aria di una bufala e per giunta costosissima, piuttosto che di un vero e proprio evento promozionale.
Abbiamo un importatore per New York e uno per la Florida. Addirittura a NY siamo presenti in uno dei ristoranti più importanti della città, ma il territorio e le sue produzioni rimangono emerite sconosciute. È la novità del prodotto a destare interesse e nulla più.
E mentre continuiamo a farci succhiare soldi da persone che organizzano un triste banco d’assaggio e accusiamo dell’insuccesso la magra massa critica che riusciamo a produrre, mi domando come si possa pensare di essere conosciuti se non cominciamo a raccontare chi siamo, dove siamo e cosa facciamo?!
È frustrante trovarsi dinanzi a persone che di vino masticano (e bevono) ogni giorno e che non sanno neppure dove sia collocata geograficamente la Franciacorta. “Prosecco?” mi chiedono.
In USA lo spazio per muoversi e per avere successo c’è ed è pure ampio, solo bisogna capire come riempirlo. Inviare vino da lasciare alla mercé di qualche sporadica degustazione o mini convegno rappresenta una spesa con la quale non si costruisce nulla.
Forse può capitare un valido contatto capace di generare una vendita ma, che rimane fine a se stessa e incapace di generare –con la sua distribuzione- un reale interesse per tutto il comparto franciacortino.
È necessario creare interesse nei consumatori prima di partire con la nostra bottiglietta da far degustare.
Servono idee, serve un progetto, serve volontà.
Finalmente un bel post dei tuoi, TerraUomoCielo!
Dove, oltre ad esaltare il bello che vivi, fai un passo oltre, cerchi di portare valore aggiunto a qualcosa.
Seguendoti qui e assaggiando i vostri vini, “facta non verba” dimostrano anche che professionalmente raggiungi obiettivi ambiziosi: ben auspicante e “tonico” il finale di quanto scrivi, insomma!
Leggendo queste frasi, ho subito ripensato a una ricerca di cui ho sentito di recente per cui, se non sbaglio, negli States, date le mode di Prosecco e Moscato, il primo si beve maggiormente sulle coste e il secondo “al centro”: questa fenomenologia dei consumi, che vale per i grandi numeri immagino, dice molto su quale e quanta consapevolezza gran parte degli Americani abbia dell’alimentazione e di cosa ci sia da -e quindi si possa- fare: la volontà serve in ogni progetto, la competenza, l’intuito, la costanza, la cura e la passione fanno il resto!
Speriamo che il vostro territorio -tutti i produttori della Franciacorta cioè- realizzi una nuova operzione unitaria ed efficace per “dissetare” con qualità reale quegli “spazi liberi” in cui hai viaggiato, per non smettere di colmarne i vuoti dopo poco tempo, per valorizzarvi reciprocamente ancora una volta, voi produttori e i giovani “bevitori”, per dare una sveglia agli altri che dormono o che si muovono da soli… Le straniere hanno sempre fascino in terre di conquista!
(pS: mi spiace per la lunghezza del commento, ma è venuto così)
Non ti chiedo se quelli prima di questo sono risultati brutti.. 😉
Tornando a quanto scrivi:
l’americano è in una fase molto ricettiva per quanto concerne il vino, ma non è un neofita e quindi non vuole essere preso per i fondelli. Adora informarsi e provare, provare… Se non ha la possibilità di conoscere come potrà mai provare?
ps: il tuo commento è perfetto 🙂
Non brutti ma meno avvincenti, progettuali. Più da diario personale che da voce di un territorio di terra, uomini e cielo.
Nessuno vuole essere preso in giro e quando si scopre quant’è bello essere curioi non si smette più: pensando al vino, credo che commercialmente sia meglio restare che provare.
“Il diario” di un uomo che sta tra Terra e Cielo! 🙂
“Restare”?
“Restare” = se fai provare un vino a una persona che non lo conosce, si spera che quello che proponi ti rispecchi ai suoi occhi e quindi piaccia così tanto da invogliare il tuo interlocutore a ripetere l’assaggio, a farlo diventare un suo must, indipendentemente da te…
Il punto non credo dunque sia solo “provare”: quanti vini si possono provare al mondo?
Il punto è far conoscere.
Il punto, quindi, diventa “far provare” quando, in questo scambio di esperienze e fiducia rinnovato ad ogni assaggio, sta il bello di una relazione, professionale e umana.
Ti davo ragione, in sostanza: il succo non è aver “la bottiglietta da far degustare”, ma creare interesse e continuare a tenerlo vivo, perchè quella si vuota facilmente, questo no (e te ne fa stappare una nuova…)