OGM: che fare?

Ricevo e pubblico le interessanti osservazioni di Antonio Grimaldi, agronomo trapiantato in Franciacorta per amore di una donna, che in facebook ha commentato la mia condivisione di un bellissimo articolo di Antonio Pascale, dal titolo emblematico:  “La sinistra bio-illogica”.

Ho chiesto a Grimaldi (che ringrazio) di esprimersi in merito e di seguito trovate il suo pensiero.

G.A.

 

di Antonio Grimaldi

Trovo l’articolo di Antonio Pascale decisamente interessante per fare alcune considerazioni. Non voglio entrare in merito alla questione politica sollevata perché, a mio avviso, ci porterebbe fuori argomento: il nocciolo sta nel capire come considerare la modificazione genetica e l’agricoltura biologica nel loro complesso.

Nel corso della storia l’uomo ha sempre effettuato miglioramento genetico. Aveva capito che, da varietà interessanti, per mezzo dell’incrocio poteva ottenerne di nuove con caratteristiche migliori. Però questo processo richiedeva tempo, e i risultati non erano sempre quelli desiderati. Così spesso si accontentava di considerare unicamente le varietà che meglio si adattavano al suo ambiente. Ad ogni modo, oggi le modalità dei nostri antenati non vengono più considerate appropriate: abbiamo bisogno di creare nuove varietà subito (la ricerca costa), siamo diventati molti di più e l’industrializzazione ha creato nuovi ambienti non propriamente idonei all’agricoltura. Una soluzione ai suddetti problemi sembra però vicina: dare origine a organismi geneticamente modificati (OGM) che permettano di creare varietà più produttive, che resistano a determinati agenti patogeni o atmosferici o che necessitino di minor utilizzo di concimi chimici. Soluzione perfetta? Non totalmente, e per due motivi principali: non conosciamo ancora le conseguenze sugli organismi e l’ambiente delle modifiche genetiche; non esiste ancora un codice etico che controlli fino a che punto ci si possa spingere con la creazione di nuovi organismi.

Da qui il motivo del grande interesse per le produzioni biologiche: la natura e l’uomo hanno già in mano varietà resistenti a siccità, terreni salini, climi troppo freddi o caldi. Risolto il problema? Anche qui non propriamente: una migliore adattabilità è quasi sempre accompagnata da una minore produttività. Ci sono da fare, poi, alcune considerazioni di fondo: perché sia autentica bisogna che anche i tuoi vicini la facciano e che i tuoi campi siano lontani da grosse fonti di inquinamento. Se poi consideriamo gli alimenti trasformati spesso la dicitura biologico non è totalmente esatta, visto che solo il prodotto all’origine può ritenersi tale.

Come considerare allora i due grandi problemi che abbiamo di fronte: preservare l’ambiente e sfamare la crescente popolazione mondiale? La mia opinione è che le modificazioni genetiche possano rappresentare un ottimo mezzo per ovviare a molti problemi (carenza d’acqua, incremento salinità, aumento di concimi chimici e antiparassitari) ma unicamente se concepite con l’intento di ottimizzare il miglioramento genetico e non di stravolgerlo. Si può ritenere auspicabile trasferire geni utili da una pianta di grano selvatico a una di grano coltivato, ma non inserire geni per la resistenza a un diserbante solo per aumentarne le dosi in campo (caso reale di una multinazionale). Le produzioni biologiche, invece, possono rappresentare la nostra cassaforte della biodiversità per migliorare le produzioni alimentari del futuro: perché né una produzione interamente OGM né tantomeno una politica totalmente biologica rappresentano, da sole, la salvezza del mondo!

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