Il caso che porto all’attenzione riguarda la Franciacorta, ma dubito sia diverso da quello di altri territori. Si paventa che per la prossima vendemmia ci sarà un esubero di uva che non sarà ritirata dai soliti, causa crisi globale.
Un eccesso di uva sul mercato porta inevitabilmente all’inflazionarsi del valore della stessa, con un conseguente abbassamento dei prezzi.
La soluzione più ovvia parrebbe quella di una riduzione della produzione per ettaro: chi compra uva, in altre parole i grandi marchi, si troverebbe ad acquistare la quantità necessaria senza inglobare l’uva in eccesso (perché alla fine non avanzerebbe più) senza smenarci un euro.
Con quest’azione il prezzo dell’uva non subirebbe (o non dovrebbe subire) variazioni.
Francamente la trovo una politica arcaica, nella quale a pagare il prezzo della crisi (poi magari pensiamo da chi e da cosa è stata generata) è soltanto chi coltiva l’uva e non chi la acquista.
Per il contadino i costi sono i medesimi, anzi, deve pure passare in vigna a “buttare giù”.
Una politica che nonostante tutto ha visto calare i prezzi delle uve –inesorabilmente- di quasi il 40%, in soli quattro anni e che ha dato la possibilità a qualcuno di vendere il vino al costo di produzione, inflazionando il prodotto e creando una concorrenza esclusivamente economica, come avviene per il mercato dei produttori di ciabatte senza marchio, che si fregano i clienti a suon di ribassi.
Allora come intervenire? Personalmente sostengo sia più opportuno ridurre la resa in vino (e non quella in uva), in altre parole pressare meno. Se fino a ieri si ottenevano 65 ettolitri per ettaro, da domani (per fare un esempio senza calcolo) se ne potranno ottenere 55.
Quest’azione porterebbe molteplici benefici:
– L’assorbimento dell’uva in esubero.
– Una maggior qualità del vino ottenuto da una pressatura estremamente soffice.
– Toglierebbe l’opportunità di un successivo inflazionarsi in valore del vino.
– Eviterebbe svendite a prezzi da prosecco, le stesse che danneggiano l’immagine del territorio.
– Si riporterebbe la crescita dei numeri delle bottiglie prodotte a un livello più reale e più aderente alla richiesta di mercato (che aumenta, ma non così velocemente come le bottiglie prodotte).
– Si eviterebbe il rischio che qualcuno espianti.
– Il prezzo del vino tornerebbe -in pochi anni- a valori meno imbarazzanti.
– Si eviterebbe ogni genere di speculazione.
Perché, almeno per una volta, non si può applicare una politica costruttiva?
Ciao Giovanni,
la ritengo una buona politica. …ma per chi, come noi piccoli produttori, non acquista uva, non la vende, ma pressa solo quella raccolta dai nostri vigneti ci sarebbe il problema che pressando meno avremmo meno mosto = meno vino= meno bottiglie…quindi dovrei acquistare l’uva= maggiori costi…non so cosa sia più conveniente. Ammetto che lasciare l’uva sulle vigne è intollerabile…e ammetto che in questo modo stanno nascendo piccolissimi produttori costretti a imbottigliare invece di vendere uva…e questo implica l’abbassamento dei costi del Franciacorta poichè per loro basta riuscire a guadagnare quel poco che guadagnavano con la vendita dell’uva…avere meno bottiglie da vendere ad un prezzo equilibrato o avere più bottiglie, ma lottare nella guerra dei prezzi che sta nascendo a discapito della qualità??? ..è un cane che si morde la coda…ma qualcosa va fatto.
Ciao Anita,
concordo con te che a subire il maggior danno sono quelli che della loro uva ne fanno vino, oltre alle aziende in salute, ma in ogni caso abbassando la resa per ettaro dell’uva l’ammanco sarebbe il medesimo.
Non credo invece che per via di questo fenomeno nasceranno tante piccole aziende e disposte a vendere a prezzi bassi: solitamente sono le grandi aziende disorganizzate che possono permettersi prezzi bassi e che conseguentemente costringono il piccolo privo d’identità, a seguirli nel baratro del ribasso e della disfatta.
Io vedo poche alternative..
Prima di proporre la soluzione bisognerebbe analizzare meglio il problema.
Perché la produzione non viene assorbita dal mercato? Aumento troppo veloce? Prezzo alto? Come mai altri prodotti aumentano le vendite e Franciacorta le diminuisce? La crisi esiste per tutti.
Se si abbassassero le rese e si adottasse una pressatura dolce la qualità del prodotto ne gioverebbe?
Vittorio, la situazione la stiamo analizzando da più un decennio.
La produzione non viene assorbita dal mercato perché negli ultimi sei anni molte aziende hanno prodotto bottiglie in un numero che va ben oltre il mercato reale di ognuna.
Questo è accaduto perché si è convinti che un’azienda che cresce debba produrre di più, quando invece sarebbe più opportuno consolidare l’esistente con una conseguente crescita del margine.
L’eccesso produttivo ha comportato la crescita dell’inflazione sul valore del prodotto finito e ha portato a una diminuzione del valore unitario medio.
Le vendite di franciacorta (vino) aumentano ma non sono in linea con la richiesta di mercato e di conseguenza diminuiscono i prezzi.
Crescere non significa solo produrre di più, ma soprattutto aumentare il margine da reinvestire per far crescere la richiesta.
No, se si abbassano le rese(uva prodotta) per fare base spumante la qualità non ne giova. Si, se si pressa meno il prodotto ne gioverebbe.
p.s. ciò che ho proposto io è una soluzione alternativa alla solita che viene adottata da anni.
Ciao Giovanni ,l’argomento è squisito,è squisito prechè tra noi produttori (anche chi siede nel consiglio consortile)ne parliamo da un bel pò di sta storia delle rese ettaro ,e rese di pressatura. Io dico la mia e quella di tanti altri che come noi(io e mio cognato Enzo) producono Franciacorta con passione ,facendosi il culo, per il sacrosanto desiderio di fare qualità. La mia ,nostra idea è,Aumentare la resa ettaro,e diminuire le rese di pressatura.Scandalo! Senti questo,vuole aumentare le rese!Ragazzi ,che senso ha fare 100 ql. ha. Per poi pressare per estrarre il 65%.Se aumentiamo le rese, e estraiamo meno .otteniamo più ,qualità. Ripeto è un pensiero che serpeggia tra noi produttori da tempo.Ma qui non sta cambiando niente. Sono ansioso di sentire qualche produttore qui sul tuo Blog Giovanni . E spero che i produttori ci mettano la FIRMA . grazie ciao a tutti
Ciao Lorenzo,
come sai sono pienamente in linea con il tuo/vostro pensiero in quanto oggettivamente giusto.
Più uva in pianta per una più facile gestione della maturità della stessa e una pressatura leggera. Il miglioramento del vino è evidente già all’analisi, quando si osserva una base di sole “prime” o di “seconde”.
Il problema di oggi però si chiama emergenza, in quanto l’esubero di uva non è poca cosa, il mercato del vino è inflazionato da un eccesso di prodotto mal gestito e quindi trovo necessario mettere un punto per una ripartenza più sensata e che possa svilupparsi come da te/voi indicato, cioè più uva e una sempre più bassa resa in mosto.
Mettere un punto significa cambiare radicalmente una politica che negli anni ha visto solo diminuire le rese di uva, come se stessimo producendo Barolo.
Aumentare quest’anno l’uva per ettaro sarebbe forse un “chiedere troppo” (vista la situazione del mercato) ma bloccarla ai valori dello scorso anno, riducendo però gli ettolitri che si possono ottenere, potrebbe rappresentare la chiave di volta per un futuro che vira proprio nella direzione da te/voi indicata.
Il tuo contributo nelle questioni chiave è sempre di fondamentale importanza e ti ringrazio. Adesso vediamo se altri hanno voglia di esprimere la loro.
Non avevo dubbi sul tuo essere daccordo Giovanni.Hai detto una cosa (non stiamo producendo barolo) Queso , per chi non capisce,è il punto. Ma non è che vogliamo ridurre la qualità,facciamo vini che per ottenere la qualità,èimportante come si estrail mosto e quanto. Aspettiamo Giovanni Aspettiamo… Commenti ovviamente,e perche no qualche coraggioso cambiamento.Ciaooo
Provo a dire l’eresia del giorno.
Le aziende produttrici sono troppe, anzi, troppissime. Tornare alla terra è fondamentale, ma che tutti si mettano a fare vino lo trovo ormai insostenibile. La tua tesi è senz’altro intelligente, ma non risolve il problema. La dura verità è che qualcuno dovrà smettere di fare vino, così come molti dovranno smettere di venderlo, perché intanto i produttori lo faranno da soli sempre di più, in mancanza d’altro.
E la spirale depressiva continua.
Non credo che il problema sia il numero di produttori, bensì il numero di ciò che producono in rapporto alla richiesta di mercato che sono in grado di creare. Più produttori (capaci e consapevoli di ciò che fanno) rappresentano una ricchezza per l’intero sistema. Il problema rimane la qualità del produttore..
la tua è più utopia della mia. Messa sul piano ideale hai solo ragione: magari!
beh prima di tutto bisognera’ vedere come germoglieranno e la fioritura delle viti poi si parlera’ di rese, alla fine una bella assemblea con tutta la filiera entro maggio 2012 , una bella riserva vendemmiale a 11 t/ha con resa finale in docg di 60 hl/ha.il resto andrebbe a igp o dop curtefranca ..il blocco delle rivendicazioni prorograto di altri 3 anni…incentivare la vendemmia verde per le aziende senza contratto di fornitura,,,, ridurre le quote del consrzio del 30 % le aziende non riescono a pagarle :)))
Ciao Giovanni. Questo è un argomento che mi sta molto a cuore e quindi vorrei fare due considerazioni.
Vi faccio una fotografia della situazione vigneto Franciacorta: fino all’ anno 2000 il vigneto Franciacorta era composto da HA 937 (tra Chardonnay/Pinot Nero/Pinot Bianco). Dal 2001 al 2005 sono stati fatti altri impianti per 1.064 HA tra Chardonnay e Pinot Nero, mentre dal 2006 al 2010 gli ulteriori impianti realizzati, tra Chardonnay e Pinot Nero, sono stati 778 HA.
1° considerazione: negli ultimi anni si sono improvvisati vigneron un mondo di persone al di fuori di questo settore (dentisti, farmacisti, ingenieri, liberi professionisti vari, industriali, ecc.) che hanno visto in questo, un business economico immediato. Il Consorzio, non avendo nessun strumento di controllo e soprattutto potere decisionale su questo argomento, si trova in questo momento ad affrontare problemi causati da altri.
2° considerazione: non sono troppe le aziende produttrici, ma sono troppi gli improvvisati. Questo è il problema! Non ci si può improvvisare vigneron o imbottigliatore. L’umiltà deve essere il primo comandamento e non perchè il vino fa le bollicine di consegnuenza è anche buono.
Concordo pienamente sulla riduzione delle rese in vino, indipendentemente dalla quantità di uva prodotta. Io sono per la produzione di una bottiglia per pianta. Unico modo per fare il salto di qualità.
E comunque non nascondiamoci dietro ad un dito o ad una pianta di vite; se vogliamo fare qualità in Franciacorta dovremmo vinificare solo vigneti piantati prima del 2000 (io compreso naturalmente!).
Un Saluto!!
Ciao Giuseppe,
grazie per il tuo prezioso contributo che permette di avere una cronistoria della crescita del territorio negli ultimi dodici anni. Dati fondamentali per capire tante cose.
Concordo pienamente con te -come ho scritto sopra- e in merito alla qualità del produttore, è arrivato il momento che qualcuno comprenda che non sta producendo insalatiere in plastica.
A presto!
Ciao Giovanni.
Questa volta mi trovo in parziale disaccordo con te, ed è per i motivi esposti da Anita. Temo che una soluzione del genere finirebbe per penalizzare soprattutto i piccoli, che non hanno la stessa capacità dei grandi produttori di assorbire una flessione della produzione, che determina una immediata perdita economica a volte difficilmente sostenibile (la marginalità dei piccoli è irrisoria, non possedendo massa critica) e il rischio ancora maggiore di perdita di clientela per mancanza di prodotto (cosa più facile da gestire, invece, per le aziende di grande dimensione, che possono meglio organizzare i ritmi di fornitura).
Trovo più condivisibile e percorribile la proposta di Lorenzo Gatti.
Quello che però credo debba essere tenuto presente – non dai singoli produttori, o meglio, non solo da loro, bensì dall’ente consortile – è che per regolare la domanda e l’offerta si può operare sull’una o sull’altra. Quasi sempre, in caso di difficoltà, i consorzi decidono di agire sull’offerta, riducendola per sostenere il prezzo, attraverso declassamenti o riduzioni delle rese. Io ritengo sia invece necessario agire prioritariamente sulla domanda, ampliandola attraverso opportune azioni di promozione, di informazione, di comunicazione, di marketing, secondo precise linee di pianificazione strategica. Nel primo caso pagano soprattutto i piccoli, nell’altro prevalentemente i grandi, attraverso maggiori costi associativi, sapendo peraltro che l’ampliamento della domanda premierà nel divenire soprattutto chi dispone di massa critica.
Si tratta di fare delle scelte.
Ciao.
Angelo
Ciao Angelo,
grazie per il tuo intervento preciso. Lo dico per chi non ti conosce: Angelo è il direttore del Consorzio del Bardolino e non un improvvisato.
Ci tengo a precisare che quanto espresso da Lorenzo come da Giuseppe, rappresenta la quadratura del cerchio, ma per avere maggior uva e minor resa in mosto -e magari un graduale aumento del prezzo dell’uva- non è cosa che si possa ottenere nell’arco di una stagione. Bisogna cominciare un percorso che porti a tutto questo.
Quest’anno il problema di uva in eccesso esiste e il mio timore è che il consorzio possa optare nuovamente per una riduzione della produzione di uva per ettaro, anche per evitare che il prezzo della stessa cali ulteriormente. Una politica che significherebbe un ulteriore passo indietro rispetto all’idea condivisa da Gatti e Vezzoli e da molti altri.
Una política che penalizzerebbe sia le piccole aziende che i produttori di uva -alla stessa stregua di una riduzione in mosto- e non chi acquista e trasforma e che continuerebbe a vendere franciacorta a 5 euro.
Quindi si rende necessaria un’alternativa nell’immediato.
Concordo con te su tutta la linea e anche sulla massa critica, ma ancor di più credo che la stessa debba crescere sulla base di quanto consolidato in precedenza. Produrre venti milioni di bottiglie sulla base dell’entusiasmo per poi venderle a 5 euro, non è meglio che produrne dieci milioni da vendere a 12 euro di media.
Il margine permette d’investire in promozione, comunicazione… e di gestire la crescita man mano che si consolida il mercato e senza che il valore unitario del prodotto finito crolli, generando un effetto domino.
Se come primo passo si comincia a ridurre la resa in mosto, chi pagherebbe di più sono quelli che da sempre acquistano uva e che magari negli anni hanno prodotto troppo e hanno inflazionato il mercato. Il piccolo già di per se -come dice Giuseppe- se vuole fare qualità eccelsa pressa già ben sotto il 65% e quindi poco cambierebbe.
Si comincerebbe ad arginare il problema della svendita del vino e ci sarebbe una crescita qualitativa dello stesso in tutto il territorio.
Ciao Giovanni,
volevo lasciare anche io un commento soprattutto in relazione alla tua conversazione con Patrizia e poi con Giuseppe Vezzoli circa il numero dei produttori. Non è del tutto sbagliata l’osservazione di Patrizia perchè in economia più volte si studiano quelle che si chiamano “popolazioni di aziende” che si sviluppano all’interno di uno specifico territorio (ad esempio la Franciacorta) delimitato da vari fattori. Il fattore più importante che delimita la Franciacorta è rappresentato dai suoi confini territoriali ben individuati dal disciplinare. Il numero delle cantine nate in Franciacorta dal 1958 ad oggi non ha subito finora alcun rallentamento e oggi i produttori hanno superato il centinaio in quel fazzoletto di terra chiamato appunto Franciacorta. L’espansione e la crescita del numero delle cantine porterà fisiologicamente ad una progressiva competizione delle stesse (e purtroppo si sta già verificando in termini di prezzi al mercato..) e in una seconda fase potrebbe esserci una concentrazione delle stesse nel senso che le piccole non riuscendo più a creare margini interessanti potrebbero decidere di essere assorbite dalle grandi. Questo scenario è sicuramente una prospettiva che richiederà ancora anni e sicuramente “impoverirà” la varietà delle cantine in Franciacorta ma sono aimhè le considerazioni che nascono da analisi economiche storiche su più popolazioni a paventare questo probabile scenario futuro. Il discorso della qualità è sicuramente qualcosa cui è obbligatorio tendere sempre sotto più punti di vista (rese ad ettaro, pressature soffici, lavorazioni nei vigneti ecc ecc) ma la realtà la fa il mercato e in questo momento si avverte una forte sensazione di competizione fra le cantine che forse sta semplicemente ad indicare che si dovrà tendere verso un nuovo equilibrio anche numerico…a prescindere dall’innalzamento della qualità. Concentrazione/collaborazione fra cantine per abbassare i costi di produzione? Nuovi mercati (estero!)? Si vedrà…..
Un caro saluto
Silvia Sabotti
Ciao Silvia,
grazie per il tuo contributo. Devo comunque dissentire con te in merito al numero dei produttori. Credo che uno studio economico debba tenere in considerazione il contesto che si intende analizzare. Nel caso del vino basterebbe osservare da vicino i vincenti sistemi economici territoriali francesi, nei quali il numero di produttori costituisce una ricchezza nell’identità di ogni singola produzione.
Il vino non lo si può inserire in un qualsiasi schema economico lineare, perché la variabile e la valenza del singolo -dell’uomo- rappresenta il 90% (in mezzo a costanti quali territorio, vitigno, ecc.) di quello che fa la differenza tra un vino e l’altro.
Questa multi diversità è valore aggiunto e non mera concorrenza sui prezzi. Se sono certo che il mio prodotto sia unico, per quale motivo dovrei preoccuparmi del prezzo?
Credo sia fondamentale capire questo aspetto, comprendere che essere produttori di vino non è la stessa cosa che esserlo di pentole e qui ritorniamo al concetto della “qualità del produttore”.
Se ci fosse maggior coscienza non ci sarebbero guerre per i prezzi, la qualità del vino ne gioverebbe perché nella concorrenza ci sarebbe una ricerca evolutiva da parte del produttore, mirata al “fare meglio del vicino” e non a “vendere a meno del vicino”. Impariamo a essere meno supponenti (non mi rivolgo certamente a te) e guardiamo a chi ha fatto meglio di noi e come.
Ci vediamo a Verona..
….hai detto bene…i francesi………ops lo champagne…..
Nello specifico le mie osservazioni derivano da una serie di approfondimenti fatti in diversi territori vitivinicoli italiani (es Franciacorta , Asti …) analizzati dal punto di vista economico, io non ci trovo nulla di “scandaloso” nel vedere le cantine come delle vere e proprie imprese, come delle aziende con un conto economico esattamente uguale a quello del produttore di pentole. Senza nulla togliere alla peculiarità di ciascun imprenditore sia che si tratti di un imprenditore agricolo o di un imprenditore del ferro. Ci vediamo a Verona!
Silvia, non c’è solo la Champagne. Ogni territorio francese è un successo, sia dal punto di vista agricolo che economico. 😉
Vorrei fosse chiaro che la mia non è una presa di posizione politica nei confronti di una qual si voglia classe sociale. Non mi interessa se uno produce ferro o pentole, però mi interessa che sappia fare vino -dal momento che decide di fare anche quello- e che le sue produzioni rappresentino valore aggiunto per il territorio e non un fardello.
Non è un’eresia se dico che molti industriali nel vino hanno fallito, proprio perché hanno gestito una cantina come una fabbrica di pentole..
è bello avere opinioni diverse! un caro saluto. Silvia
Nella diversità c’è ricchezza!
Però oltre alle opinioni qui ci sono pure -e drammaticamente- i dati ad avvalorare la mia tesi… non è solo un pensiero.
sono d’accordo, anche le mie non sono solo parole ma spunti tratti da studi economici (uno era appunto il mio ) elaborati grazie a un numero significativo di dati e di numerose variabili economiche utili all’analisi di realtà molto simili in varie regioni italiane. Di nuovo arrivederci a Vinitaly!
Sei tenace! 😀
Credo nel tuo studio, ma se guardiamo gli attuali risultati cosa ci dicono?
Riversamento di imponenti masse di bottiglie immesse su un mercato non così tanto ricettivo come ci si aspettava, che hanno creato inflazione e il conseguente abbassamento del valore dell’uva prima e del vino poi, fino a portare a un eccesso produttivo di uva che mina ulteriormente il territorio.
Le aziende non sono cresciute proporzionalmente agli ettari vitati, quindi qualcuno è cresciuto troppo senza avere la capacità di gestire i margini che oggi si sono inevitabilmente ridotti e non consentono di investire in un significativo cambio di rotta. Questa è la storia attuale.