Il risultato della ricerca che il Consorzio Franciacorta ha commissionato ad Astra Ricerche di Enrico Finzi, traccia un risultato abbastanza preoccupante che evidenzia che il 50% degli italiani non ha idea di dove si trovi questo territorio.
Il 90% dichiara di conoscere il vino che viene prodotto, ma non è in grado di dargli una collocazione geografica. Di questi, uno su quattro non ha mai bevuto franciacorta e non ha intenzione di farlo a breve.
I dati di Finzi fanno tornare con i piedi per terra quanti credono di essere arrivati alla consacrazione e ricorda che di strada da fare ce n’è ancora moltissima.
A proposito di questo non capisco la nota fatta sul Giornale di Brescia: “meglio così, visto che la produzione cresce assai velocemente”. È una dichiarazione di Finzi, o la difesa scomposta quanto assurda di qualcuno?
L’esperto dichiara anche che, per far scoprire il territorio sia necessario “farlo degustare” e che la gente vada portata in cantina (ossia nel territorio) invece che avvicinata con costose campagne promozionali rivolte a un pubblico indistinto.
In poche parole si ritiene sbagliato portare una bottiglia a far degustare in un paese che non conosce nemmeno l’esistenza della Franciacorta, come succede (ed è successo) nelle mie trasferte americane, dove mi si chiedeva ogni volta se fosse Prosecco e mi dovevo prodigare con l’ausilio di una carta geografica a mostrare l’ubicazione della Franciacorta.
Prima s’informa, si comunica e si forma perché è l’unico modo per creare una richiesta consapevole, invece che puntare sulla solita vendita fine a se stessa che altro non fa se non inflazionare un’immagine che ancora deve essere creata, con buona pace dei soliti ottimisti.
Finzi già nel 2009 aveva sottolineato l’importanza fondamentale di una manifestazione sul territorio (leggi Festival Franciacorta) ma che i vertici consortili -nonostante i miei vari appelli- hanno depennato dal calendario adducendo a ragioni tutte da provare in merito alla mancanza di spazi.
Quest’anno è pure stato deciso un aumento della quota consortile che vede schizzare il costo che ogni produttore deve versare al consorzio, di quasi il 50% su ogni bottiglia prodotta.
Visto che la ricerca ha evidenziato una falla nel sistema, non è il caso di cambiare rotta e di investire in altra direzione invece di continuare con politiche che si sono dimostrate (lo dice la ricerca di Finzi) pressoché inutili e forse dannose per il futuro?
Fonte: Giornale di Brescia, 19 gennaio 2012.
E adesso il consorzio titolerà: un italiano su due ci conosce alla perfezione.
😀
è una battuta meravigliosa! cazzo, non c’ho pensato. 😀
l’aveva fatta su twitter, gli ho imposto di postarla anche qui!!! 🙂
e allora insistere insistere insistere e più geografia per tutti 😀
e poi c’è la concorrenza, mi viene in mente Almerita, Grotta del sole …
mi sembrano numeri positivi: il 90% degli italiani (54.000.000) conosce il vino e di questi i 3/4 ha bevuto il vino e ha intenzione di (ri?)farlo: 40.500.000. Avrete abbastanza bottiglie per soddisfarli tutti? Altro che andare in America a vendere! :-))))
Pochi anni fa, una ricerca simile fu commissionata dal Consorzio Valpolicella all’agenzia Maurizio Rocchelli. Stessi risultati, più o meno. Qualcuno (italiano) collocava la Valpolicella in Piemonte ed anche in Toscana…
Da allora la produzione di Amarone è probabilmente raddoppiata.
Ad ognuno le proprie deduzioni.
Non bisogna fare certe ricerche, oppure non bisogna divulgarne i risultati quando sono così preoccupanti?
Oppure pensi che l’italiano risponde a queste carenze immettendo sul mercato maggior massa critica di prodotto?
Non riesco a collegare direttamente il risultato di questa ricerca alla crescita esponenziale della Valpolicella.
Scusa Marco, puoi spiegarti meglio?
Hai ragione. Mi spiego meglio: come tutte le statistiche si prestano a differenti interpretazioni e, talvolta, strumentalizzazioni. Alcuni commenti precedenti ne danno bell’esempio. Di certo non si è ancora vista una ricerca che deduca l’inutilità dei dati conseguiti. L’esempio della Valpolicella tende a dire che il successo di una denominazione è assai poco influenzato dalla corretta percezione geografica del territorio, ma forse molto più dalla capacità di quel
territorio di produrre una importante spinta centrifuga di carattere comunicativo, specialmente presso i contesti di consumo. In altre parole, ben venga i Festival in loco, a patto che non drenino risorse alla promozione “fuori”. E nel caso della Franciacorta, aggiungerei alla promozione tesa allo sdoganamento internazionale.
Ciò detto a titolo di contributo, non certo di critica a chi si prodiga in attività comunque utili.
A presto!
D’accordo con te: le strumentalizzazioni nascono da confusione, da opportunismo e a volte pure da frustrazione(e non mi sto di certo riferendo alla tua persona).
Venendo a noi:
Credo che il “carattere comunicativo” non possa prescindere dal territorio, in quanto -il territorio- rimane l’unico elemento inimitabile realmente percepibile da chiunque e la sua collocazione geografica non è un dettaglio da sottovalutare.
Non si può parlare di vino, di cultura, di marketing(per dire qualcosa di moderno) senza conoscere alla perfezione quel confine geo-politico. Se dico Montalcino si identifica perlomeno la regione, idem per Barolo e pure per Valpolicella…
Nel caso della Franciacorta trovo un’eccessiva frammentazione del messaggio che spesso, svanisce in una nuvola di fumo e a parlare sono i risultati e il fatto che non sia passato il messaggio dell’ubicazione geografica è un esempio.
All’estero più che mai credo che la comunicazione debba partire dalle basi più solide e inimitabili che abbiamo, che poi (solo poi) si traducono nel prodotto.
Grazie per il tuo contributo.
p.s. Nico mi ha ricordato chi sei… perdona la mia memoria fulminata. 🙂
a presto