Distinguere è fondamentale. Ne parlavo con Fabio Giavedoni un paio di settimane orsono, della necessità di far comprendere al consumatore non solo cosa sta comprando, ma anche chi sta comprando. E dal momento che il vino è uomo, mi pare fondamentale –non certamente ai fini di un controllo qualità- sapere quale anima si cela dietro quell’etichetta. Ritengo sia importante conoscere se il vino che sto bevendo è prodotto da una persona che ha deciso di essere un vignaiolo che vive dei suoi sforzi, o da qualcuno che -tra le altre cose- ha deciso di produrre anche del vino.
Per esempio il vino che produce Oliviero Toscani (che non ho ancora degustato) è certamente un prodotto agricolo, magari buonissimo e credo pure nella nobiltà del progetto di Toscani -che dubito abbia bisogno di ingrassarsi con le rendite del vino- ma non posso pensare che la molla scatenante l’azione, sia la medesima di quella di un contadino che nella vita non ha altro da fare e che se perde il raccolto un anno, ne risente l’intera economia famigliare.
E quindi:
Quando si degusta un vino, la cosa migliore sarebbe quella di non sapere nulla dello stesso per non essere condizionati in alcun modo, così da trovarsi emotivamente vergini all’incontro del vino con naso e bocca. Invece si chiede sempre preventivamente tutto e allora, oltre a sapere l’uvaggio, la vinificazione, l’affinamento, la solforosa, l’altitudine delle vigne e il tipo di trattamenti, perché non chiedere anche chi è e cosa fa, chi produce quel vino? Se è un’attività integrativa, la sua, oppure un’unica scelta di vita. Non credete che nel mezzo di queste preventive informazioni, possa essere cosa da non sottovalutare?
Sante parole !! Sono assolutamente d’accordo !
Ceerto! queste domande sono le prime che mi pongo.
E allora perché, insieme alle altre, quando si descrive un vino e un’azienda non si sottolinea chiaramente che fa, l’uomo dietro l’etichetta? Perché le guide non evidenziano anche questo aspetto, che non mi pare affatto marginale?
Hai ragione da vendere sul fatto che le guide si interessino poco alla gente che sta dietro al vino.
Forse, a pelle, la slowine è l’unica che nei criteri di selezione delle aziende dà peso anche al vignaiolo e mi pare di vedere uno sforzo in più rispetto alle altre.
Dopo la visita da voi a Brescia ho cominciato a scrivere dei post su “gli uomini dietro i terroir” proprio perchè il vino è molto di più una mera produzione agricola ma diventa una scelta di vita a cui certe persone dedicano l’esistenza.
Nella narrazione ho dedicato la mia attenzione alla loro storia, al loro rapporto con il territorio e la coerenza “culturale”.
L’incrocio fra il territorio e l’accanimento con cui lo plasmano, lo rivalutano e lo interpretano crea un circolo virtuoso che si può definire terroir, talvolta questi “terroiristi” si trovano in territorio consolidati più che in quelli marginali.
Rinaldi, Accomasso, Cerutti tutti uomini di Langa sono così lontani dai produttori correnti che dopo averli conosciuti hai necessità di indagare dietro ad ogni vino per scoprire chi sia il suo genitore o genitrice e cercare una coerenza.
Riflettevo mentre ero ai fornelli, impegnata ad emulare Cracco in cucina dalla Parodi, con il risultato di assomigliare più alla seconda, per ovvi motivi.
Nel mio avvicinarmi al vino, in quest’ultimo anno, sono entrata in contatto con etichette ed uve, ma ho iniziato a catalogare le bottiglie associando vitigno e vino al produttore, oltre che al territorio. Per esempio, se parlo del “vidur” vi dirò la barbera di Enrico Togni della valcamonica; oppure il timorasso di Paolo dei colli tortonesi; l’aglianico del vulture di Sara; questo perchè i vini che ho assaggiato e le sensazioni che mi hanno lasciato sono indissolubilmente connessi, nel mio cervello, al viso, alle mani e ai racconti dei produttori conosciuti. Ho partecipato a serate in cui si degustavano vini di cantine “famose” e con milioni di bottiglie in giro per il mondo, ed è noioso ascoltare il direttore vendite del nord italia che a malapena conosce l’azienda, e che parla male di altre realtà. Preferisco conoscere il contadino, non l’esperto di marketing.
Non sono certo il tipo da fare domande sui trattamenti, sulla solforosa, al massimo chiedo notizie sul territorio, non tanto sulla conformazione del terreno, più interessante è conoscere il legame della gente con l’uva, l’importanza sociale dell’agricoltura nel luogo dove viene praticata.
Poi è lecito approfondire qualsiasi cosa in merito ad un vino, è interessante sapere a che altitudine sono le vigne, ma è un’analisi a cui mi dedico quando il vino l’ho bevuto, mi è piaciuto, mi ha emozionato.
Giò, sei troppo avanti!
però c’è da riflettere anche che quando ci sono manifestazioni che ti permettono di incontrare chi il vino lo produce, quelli della critica enologica, alla fine, vanno sempre dai soliti.
quest’anno ne abbiamo fatte di cose insieme, ne ho conosciute di persone e tutte grazie a te e lucia, molte senza il vostro input non mi avrebbero nemmeno cagato di striscio!
quindi grazie, soprattutto per essere sempre troppo avanti
Enrico, non fare di tutta l’erba un fascio. una certa critica avanguardista, entusiasta di scoprire per poi stupire, esiste ancora.
quelli che vanno “sempre dai soliti” non lo fanno per i soliti ma per se stessi.
@Luigi: slowine ci prova ma racconta solo gli aspetti superficiali ed è quindi difficile identificare davvero il “chi”..