Offida: riflessioni in treno

Ne esco entusiasta dalla “due giorni offidana”. Entusiasta perché Alessandro Morichetti è stato davvero bravo nell’assemblare un gruppo di persone molto diverse fra loro, per estrazione professionale, ma accomunate dalla passione per il pianeta vino e per il web, i blog, intesi come strumenti per raccontare esperienze e per raccontarsi, come una sorta di contenitori dinamici e interattivi, delle soggettività di ognuno.

Degli aspetti più specifici, di quello di cui si è dibattuto durante la tavola rotonda del sabato, sono stati più esaustivi i compagni di questi giorni, come Fiorenzo Sartore, Mauro Erro, Jacopo Cossater, Corrado Dottori, lo stesso Morichetti e il video di Francesca Ciancio.

Da Offida me ne torno con un carico di ottimismo, con una speranza in più, con la convinzione che qualcosa -in questa italietta del vino ancora troppo ancorata a entusiasmarsi per i numeri (anche quest’anno produrremo più ettolitri della Francia)e a non dar peso al valore degli stessi(quanto vale in media un chilo d’uva in Italia e quanto in Francia?) si possa fare. Questo gruppo di lavoro mi è piaciuto perché ha saputo generare un confronto costruttivo senza “fenomenismi” da parte di nessuno. Spero di ripetere. Spero presto.

I vini: trovare in uno cugino dritto dell’altro, è stato difficile. Serviva uno sforzo mentale non indifferente per avere ben chiara una macro impronta territoriale. Per lo più vini corretti, che non hanno evidenziato incolmabili lacune tecniche. Tanti stili e diverse chiavi di lettura per un vitigno che mi è apparso capace di dare vini molto delicati, dai profumi tenui facilmente copribili da quelli di altri vitigni più “masculi” come il trebbiano, o il ben più invasivo sauvignon sentito in alcuni campioni degustati. Il disciplinare consente l’utilizzo di altri vitigni (quelli coltivabili in zona) nella misura massima del 15%. Tanta roba, troppa forse per questo vitigno.

Il Territorio: dirvi cosa sia il Pecorino di Offida, mi risulta una cosa molto difficile.

Un’inequivocabile forma stilistica che non tradisca naso e palato e che faccia gridare che in quel bicchiere altro non può esserci se non del Pecorino offidano, è qualcosa che manca.

Una base stilistica comune è la pecca dei territori giovani e per giovani intendo da un punto di vista di “sistema territoriale vitivinicolo” dove s’intende fare seriamente economia con il prodotto vino.

Dal mio punto di vista, a Offida ci si deve interrogare su un paio di cose. Puntare su un territorio in cui la totalità delle produzioni abbia un buon livello qualitativo, o cercare di mettere il territorio stesso in bottiglia? Entrambe? Nel primo caso direi obiettivo raggiunto, ma nel secondo… Da quest’anno il Pecorino di Offida sarà D.O.C.G. e non credete che potrebbe essere l’occasione per darsi regole più restrittive vietando l’utilizzo di altri vitigni? Pecorino 100%! E le altre uve? Un IGT Offida, nella peggiore delle ipotesi.

Nel mondo non c’è bisogno di altri vini ben fatti che assomigliano a… serve unicità, serve riconducibilità territoriale, serve coraggio.

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