La Vigna del Castello di Brescia non è solo il vigneto urbano più grande del mondo ma anche la raffigurazione vivente dei resti di una cultura che si è persa, alla quale si sono preferite forme di sviluppo che oggi palesano importanti difetti strutturali.
Il Ronco Capretti deve essere considerato alla stessa stregua di un museo che racchiude le tracce del passaggio di una cultura rurale, fortemente votata alla viticoltura. È un anello di congiunzione tra le zone vinicole di tutta la Provincia, con una funzione catalizzante per il messaggio che -le stesse- intendono divulgare a vantaggio di ognuno dei sistemi vitivinicoli che rappresentano, a favore della tutela di ogni territorio o di quello che ne è rimasto.
Nel 2006 ho redatto un progetto per tutelare la vigna, che ho già presentato al Sindaco di Brescia. Un progetto che intende tornare a sensibilizzare i bresciani attorno al vigneto, sia in chiave economica sia culturale. Vuole essere uno strumento di tutela con il fine che il Ronco Capretti, sia riconosciuto patrimonio della città e dei cittadini rendendolo intoccabile per sempre.
Dal 2000 coltiviamo (con Andrea Arici) gli antistanti ettari vitati in via Colle Fiorito, che altro non sono, se non la continuazione naturale del Ronco che in passato si estendeva a nord, su buona parte dell’attuale via San Rocchino.
Le uve erano vinificate nella casa che si trova sulla curva d’intersezione tra via Turati, Pusterla e San Rocchino. Le cantine, dismesse da tempo, ospitano una trattoria.
Dal 2004, vinifichiamo sperimentando a ogni vendemmia, poco più di dieci ettolitri di mosto ottenuti dal vitigno Invernenga (presente nella “Vigna del Castello”)ma coltivato a Cellatica. Proviamo a fare un vino che ci piaccia, che ci emozioni e che possa palesare l’unicità di un vitigno che un tempo, rappresentava la regola nella cultura vitivinicola di questo territorio. Perché ogni vino è un sistema, un confine che demarca una zona nella quale l’uomo esprime una precisa volontà. Un contenitore culturale che segna le sorti dello sviluppo di un’area geografica.
In passato, in Italia, il vino era fonte di sostentamento per ogni famiglia. Poi si è evoluto e in alcune sue espressioni è diventando un prodotto per certi versi elitario, come da modello francese. Dalla Francia ne abbiamo appreso il valore economico, senza capire però che lo stesso è imprescindibile dal valore storico-culturale che rappresenta una fonte inesauribile per la tutela paesaggistica di un territorio, senza il quale non è possibile creare vino. Quando si giunge in Champagne o in Borgogna, a nessuno può venire in mente che lì, si possa produrre qualcosa di diverso che non sia vino.
In Italia l’abbiamo capito tardi, solo dopo aver creato troppe fonti di reddito facilmente esauribili e, si è visto, irrimediabilmente dannose. Il vino è tempo, è sviluppo, è economia, è uno sfruttamento intelligente del territorio è una biblioteca del sapere, è un’appendice dell’uomo.
Serve un vino, un grande vino che con la sua immagine e con l’indotto economico che saprà sviluppare, avrà la funzione di salvaguardare e sviluppare ciò che di verde è rimasto in città e di raccontare Brescia nel mondo.
Sono certo che dalla Vigna del Castello si possa ottenere un vino straordinario sotto ogni punto di vista, organolettico e non. La vigna e il suo vino devono diventare qualcosa per cui un bresciano sia orgoglioso della sua città. La sua tutela è un esempio di buon senso e il suo sviluppo a vantaggio di tutti, una chiara garanzia.