In una località di montagna chiamata “al giubilina”, vivevano un tempo un dozzina di Briganti. Provenivano dalla Valcamonica, e dalle confinanti Valtrompia e Valsabbia.
Erano ladri molto famosi e temuti dalla gente, e per le loro malefatte erano ricercati dalle forze dell’ordine. In queste vallate esistono dei passaggi sotterranei chiamati “gànde”, che si racconta sbuchino persino in Valtrompia. In questi cunicoli vivevano i briganti, nascondendoci anche la refurtiva frutto delle loro scorribande.
Quando scendevano nei villaggi, le donne e i bambini si ritiravano in casa, perché questi uomini incutevano timore; indossavano larghi mantelli, calzoni alla zoava, fazzoletti variopinti legati al collo e avevano sguardi arcigni. Avanzavano tra le abitazioni stringendo un grosso bastone, e scrutando nelle case attraverso i vetri delle finestre.
Sulla montagna confinante, chiamata Silter di Campolungo, c’era una malga dove viveva, sia d’estate che d’inverno, un capraio. I briganti passavano spesso le serate da lui, mangiando formaggi e polenta, bevendo latte fumante, ma non resero mai la cortesia, per non dover svelare esattamente dove abitassero, e la presenza dei tesori nascosti.
Col passare del tempo, i malviventi iniziarono a litigare tra loro, per la divisione del bottino, fino ad uccidersi l’un con l’altro. Diventarono sempre più prepotenti e saccheggiarono persino le chiese delle vallate. La gente si chiudeva nelle stalle, ed era convinta che l’uccidersi tra loro fosse il castigo di Dio per le loro cattive azioni.
Solo uno di questi si salvò, e trascorse nell’anonimato i suoi ultimi anni in un paese della Valtrompia. Solo in punto di morte rivelò la sua vera identità, raccontando dei tesori ancora nascosti tra le gande della al giubilina.
“Goi de contala” Era la maniera di raccontare ai nipoti le storie nelle sere d’inverno attorno al fuoco, o talvolta nelle stalle che erano dopotutto luoghi caldi. I bambini si addormentavano sognando.