Franco Ziliani scopre la Valtènesi, cominciando dai Vini bianchi.

Avete presente quel sorrisetto fastidioso, quello da stronzetto, che viene alle persone quando con naturalezza (vera quanto dei fiori di plastica), vi rifila un sonoro “te l’avevo detto!”??

Dopo aver letto questo post, dell’amico Franco Ziliani, mi è spuntato un fac-simile di quello sopra descritto, con l’unica differenza che il mio pare più una smorfia di dolore, condita da quel fastidioso “l’avevo detto” da stringermi tra i denti per non far riaffiorare, inutilmente, vecchi “rancori”.

Finalmente a parlare di un pezzo di questa provincia, è una delle penne più autorevoli(se non la più autorevole) del panorama vinicolo italiano e ha deciso di farlo in netta contrapposizione (a riprova della sua onestà intellettuale)con quello che da tempo il consorzio, cerca di inculcare nell’immaginario collettivo.

Niente “Rossi della Valtènesi” come espressione territoriale, almeno per ora, ma vini bianchi a base riesling renano, un accenno al chiaretto e uno per il groppello. Almeno per ora, ma è da li che è partito a parlare di territorio, Franco Ziliani.

Ho ancora le magliette con incollate le bucce dei pomodori che qualcuno mi ha tirato nella schiena quando, qualche anno fa, mi sono espresso a favore dei vini bianchi e soprattutto del groppello, come fulcro dell’identità di questa terra.

Vini, quelli recensiti da Ziliani, nei quali sono finite in passato, alcune delle mie elucubrazioni. Sono felice che a quanto pare, stiano arrivando i consensi, a dimostrazione del fatto che un lustro nel mondo del vino, è davvero poca roba.

A parte questo sassolino tolto dalle mie espadrillas, com’è stato visto il giudizio di Ziliani da parte dei Valtènesini? Condividono o rimangono imperturbabili, con le loro indiscutibili e necessarie convinzioni?


16 risposte a "Franco Ziliani scopre la Valtènesi, cominciando dai Vini bianchi."

  1. Chissà perché ma sono certo che a Ziliani non abbiano nemmeno detto “bif”, oltre a stendergli i tappeti rossi e prostrarsi.
    La convenienza rende la gente muta e sorda.
    Che figura di m….

  2. Sono ancora immensamente convinta che la Valtènesi sia un grande territorio vitivinicolo , dove il suo suolo eterogeneo consente la produzione di Vini di diverse varietà( la mia scelta aziendale lo dimostra ) . Questa, che sembra apparentemente essere una grande fortuna ( e che lo è), nella realtà commerciale e di marketing ( tutti noi ne siamo esageratamente influenzati) si trasforma in una comunicazione poco incisiva e focalizzante . Io stessa faccio fatica a tagliare una delle mie etichette , pur sapendo che mi aiuterebbe di più nella parte meramente commerciale .
    Io vedo la Valtènesi come una grande Tavolozza di colori dove sia possibile esprimere delle cose assolutamente diverse tra loro ma di grande personalità e unicità . Dove sta scritto che un territorio debba fare i vini tutti uguali ?
    Franco è una persona molto preparata , ha liberamente preferito i nostri bianchi e ne sono fiera , sui rossi ci stiamo lavorando sopra e , secondo il mio modestissimo parere e in base alla mia esperienza di produttrice , sento che i nostri suoli sono più vocati alla produzione dei Rossi e non parlo solo di Groppello …lasciateci lavorare , guardateci pure mentre facciamo le nostre ricerche …l’importante è che la Valtènesi lavori unita . I risultati ? Quelli seri necessitano tempo…
    che bello tornare a comunicare con te Randagio polemico …

    1. Puoi convincere anche noi? Puoi dimostrarci concretamente quello che sostieni? Fino a ora si sono spese parole e idee dove nelle quali vi siete lanciati in mirabolanti capriole per rappezzare le scelte sbagliate del passato(parlo a livello di territorio).
      Dove sta la colonna vertebrale del territorio e in cosa si manifesta al consumatore?
      Nessuno parla di fare tutti i vini uguali (dove sta scritto?)ma che vi sia un filo conduttore che leghi storia, cultura e sapienza nel fare vino è aspetto fondamentale di un “sistema territorio” che vuole imporsi in qualche modo.
      Le diversità in Valtènesi sono frutto di idee poco chiare e non ancora delle diversità geo-climatiche tra una zona e l’altra. Il potenziale c’è, ma non si vede nella globalità delle produzioni.
      Non ho dubbi che Franco abbia liberamente scelto e sono altrettanto certo vi abbia espresso il suo parere in relazione ai rossi…
      Dove sono i vini rossi che provengono da questi suoli vocati per i vini rossi?
      A parte la ricerca sul groppello, dove sono le altre ricerche che possano attestare ciò che dici e soprattutto, dove sono i vini?
      E l’unità della Valtènesi di cui parli?
      Dai, limitiamoci a raccontare ciò che possiamo dimostrare.
      Non si può non essere polemici in un caso come questo! 😉

  3. Caro Sig. Stefano forse lei era presente, durante la visita di Franco Ziliani in Valtènesi, per scrivere che abbiamo fatto una pessima figura ? Se avesse letto il Post di Ziliani non si sarebbe esposto con questa inutile e ingiusta polemica .

    Giovanni per cambiare la storia, le persone e la loro mentalità rispettando la tradizione ci vuole tempo…non mi sento di dire che siamo arrivati( perchè in questo caso hai ragione tu) ma che siamo pronti per partire …

    Vi saluto vado alla mia vendemmia .

    1. Cristina, sono tre anni (anzi, una vita)che è stato esploso il colpo dello start e voi siete ancora ancorati ai blocchi di partenza e continuate a raccontare di cose che non esistono se non nella vostra fantasia.
      Amando la mia provincia, continuo ad aspettarvi all’arrivo, ma all’orizzonte non si scorge nulla di più di quello che ho sempre sostenuto e Franco ha dato manforte al mio pensiero. 🙂

    2. Signora Cristina, forse durante la visita del signor Ziliani è stato l’unico momento in cui non ne avete fatte di certe figure.
      Mi riferisco invece a tutte le volte in cui Giovanni Arcari ha cercato di farvi capire le stesse cose che oggi ha scritto Ziliani e lo avete trattato con sufficienza, per usare un eufemismo.
      O ancora alle volte in cui vi è stato chiesto di esprimervi in merito alla tutela del territorio, al credo del groppello e alla potenzialità dei vini bianchi.
      Siete stati voi a decidere che la valtenesi debba essere terra di rossi, perchè in passato avete piantato prevalentemente uve rosse, lasciando ad altri vini- quelli bianchi- il ruolo di riempitivo.
      Ziliani, che fino a prima del suo post non vi era neppure simpatico.
      Di ingiusto c’è il vostro atteggiamentopassato nei confronti di Arcari e dei consumatori che come me vivono il territorio e lo apprezzano per ogni cosa, tranne che per le politiche in ambito enologico che mettete in campo senza conoscere le peculiarità sulle quali puntare per il futuro. Ha dovuto dirvelo Ziliani che i vostri bianchi sono buoni, altrimenti non avreste puntato un soldo di cacio su queste produzioni.
      Fateci vedere cosa sapete fare invece di raccontare storie prive di attendibilità e soprattuto prive dei vini dei quali vi riempite metaforicamente la bocca.

  4. Stefano non riesco a capire come possa asserire quete cose con tale convinzione . Come produtrice di vino della Valtènesi mi rendo diponibile ad un dialogo aperto e diretto con lei . Sarebbe ridicolo continuare a dire si è vero , no, non è vero …vediamoci davanti a una bottiglia di vino e parliamone.
    Mi scusi ma purtroppo il lavoro non mi consente di avere tanto tempo per seguire i vari Blog …e comunque , nella vita è possibile cambiare idee e opinioni sulle cose e sulle persone a prescindere dagli interessi personali. Io e Giovanni Arcari , ad esempio , discutiamo animatamente (litighiamo) sull’argomento Valtènesi da sempre , questo però non mi impedisce di nutrire simpatia e stima nei suoi confronti …

  5. Di quali cose parla mi scusi? Asserisco solo cose vere e la invito a smentirle pubblicamente!
    La bottiglia di vino la possiamo stappare e ne sarei felice(magari a profumi di mosto), ma ritengo che lei così come altri facenti parte il consorzio dobbiate avere dei dialoghi aperti e pubblici, dal momento che la comunicazione che fate è rivolta a tutti. Non potete raccontare ciò che volete e sperare che la gente ci abbocchi, dovete mostrarci il fondamento delle cose che dite.
    Nella vita si può cambiare idea mille volte, ma è necessario anche rendere merito a chi ha sempre sostenuto il giusto e scusarsi anche con i consumatori.

  6. Il “sassolino” di Giovanni prende spunto da un articolo di Franco, degustatore di provata esperienza e chiara fama, che porta spesso il vento dell’originalità nelle sue riflessioni. Altrettanta originalità la mostra da sempre Giovanni, istintivo e autentico nelle sue interpretazioni appassionate. Sia Franco sia Giovanni hanno spontaneamente concentrato la loro attenzione sulle produzoni più “atipiche” -per quantità e per tradizione- della Valtènesi, pur non dimenticando che Franco ha sottolineato in primis il Groppello, sia giovane e allegro sia più austero, la sua ricerca e anche altri rossi, in merito ai quali si è dichiarato in contrasto con altri degustatori che invece nel rosso di Valtènesi hanno trovato piena soddisfazione ed anche senza dimenticare che Giovanni sostiene da tempo il Groppello senza alcun dubbio. Provando a tralasciare quindi la sacrosanta soggettività dei giudizi, che ovviamente fanno sempre piacere quando positivi e bruciano senza affliggere quando son negativi, non credo di dire un’eresia affermando che storicamente la Valtènesi -senza ora entrare nella quaestio riviera del grada bresciano, garda bresciano e garda classico- si sia principalmente raccontata a vino e a parole come zona di produzione di uve a bacca rossa, Groppello e Marzemino su tutte. Dalle quali è nata perfino la declinazione rosa rappresentata dal Chiaretto. Non da alcuni anni o da un paio di lustri, ma parrebbe perfino da alcuni secoli. Parlando però di vitcoltura “moderna”, per intenderci quella che segua alla nascita delle denominazioni d’origine in Italia, non possiamo tacere l’inclinazione del Garda occidentale alla viticoltura in rosso, con l’eccezione della zona Lugana, decisamente consacrata alla bacca bianca, a prescindere dalla recente “esplosione” del fenomeno Lugana. Dove sta quindi l’insostenibilità nel dichiararsi -in Valtènesi- abitanti e attori di una terra da vini rossi? Giovanni dice -o almeno io così ho interpretato- che di rossi interessanti in Valtènesi non ce ne sono: a me pare una dichiarazione facilmente eccepibile, ma convivendo fianco a fianco col campo della soggettività ogni affermazione è plausibile. Il fatto che si possano produrre bianchi apprezzabili dove alligna il rosso non è necessariamente sorprendente, nè ritengo debba spingere a “ripensare” radicalmente una viticoltura presente per tradizione. Non escludo poi che si possa considerare errata quella tradizione che in Valtènesi ci ha “insegnato” a coltivare il Groppello, il Marzemino e le altre uve rosse, accanto alle poche bianche, nulla davvero si può eslcudere, nemmeno che tali insegnamenti non siano lontanamente arrivati alla “compilazione” di un protocollo da tramandare quasi geneticamente. Ma se in Valtènesi tutt’oggi crediamo sia giusto studiare e sperimentare e produrre soprattutto per raccontarci come vitivoltori di uva rossa è evidente che qualcosa di questo colore nel dna è fortemente presente.

    1. Paolo, io non sostengo che non vi siano rossi interessanti, sostengo invece che gli stessi non abbiano le caratteristiche necessarie per rappresentare un territorio, definito “da grandi rossi”.
      Troppa frammentazione e poca riconducibilità territoriale, per vini che faticano a brillare e a uscire dalla media(un anno fa la degustazione da Vincenzo Bertola). Sostengo da tempo che la Valtènesi debba trovare la sua identità con il groppello(che dev’essere riconoscibile nelle produzioni, con pregi e difetti annessi ma certamente unico), i chiaretto e certi vini bianchi che senza grossi sforzi, possono giocarsela con altri territori(non ho detto vincere 😉 )
      E’ indubbiamente solo il mio parere, come lo è del resto il vostro.
      p.s. sono contento che tu sia intervenuto.

      1. Non credo sia la “riconducibilità territoriale” ad essere assente nei nostri rossi, tantomeno credo sia un male incurabile la frammentazione, mi viene invece da supporre che potrebbero esserci delle oggetive disuguaglianze sulla qualità intrinseca dei vitigni, in senso ben più ampio. Come dire che fare dei Riesling interessanti sia più facile -ovunque- che fare dei Groppelli ragguardevoli. Da qui le strade parallele che stiamo battendo in Valtènesi: la sperimentazione e la continua energia spesa nel produrre il miglior Groppello possibile e l’impegno profuso nel far vini rossi e rosa di territorio con il Groppello accompagnato da altre uve a bacca rossa -spesso di lunga tradizione- unitamente alla più rara produzione di bianchi con uve bianche ereditate comunque da una pur minoritaria tradizione. Il Groppello e in altra misura il Chiaretto sono senza dubbio la nostra identità territoriale, rafforzata dal toponimo Valtènesi. Lo stiamo raccontando con insistenza da un paio d’anni, e con nomi diversi da almeno una quindicina, ma non abbiamo “inventato” nulla, è proprio tutto lì o qui da vedere.

  7. Bene Paolo, io rimango in attesa di vedere quello che “li o qui” c’è da vedere, a sostegno di quello che raccontate da anni. Provate a confrontare i vostri risultati con quelli di altri territori che hanno già dimostrato di essere vocati nella produzione di vini rossi, così per avere un termine di paragone. Non è una critica, ma un’idea e sarei lieto di partecipare (da spettatore)a tale “confronto”.

  8. Leggo solo oggi questo “commento” se così lo si può definire, di Stefano: “Chissà perché ma sono certo che a Ziliani non abbiano nemmeno detto “bif”, oltre a stendergli i tappeti rossi e prostrarsi. La convenienza rende la gente muta e sorda. Che figura di m….”. Trovo che sia assurdo privo di significato, ingeneroso non solo nei confronti dei produttori che ci hanno accolto e che non hanno steso nessun tappeto rosso, perché non s0no persone solite a prostrarsi, ma nei confronti dei colleghi polacchi che erano i veri protagonisti di queste visite, così ben organizzate, con grande passione, da Elisabetta Poletti, che li ha invitati.
    Io mi sono solo aggregato, da ospite, ad alcune di queste visite. E al ritorno ho scritto l’articolo di cui parla Giovanni in questo post.
    Quindi nessuna “convenienza”, nessun opportunismo, nessun prostrarsi nei confronti di nessuno. Solo un rapporto normale, sano, corretto, tra chi produce vino e chi di vino scrive e liberamente esprime il proprio punto di vista.

    1. Signor Ziliani il mio commento non voleva di certo prendere di mira lei o i suoi colleghi polacchi. Se è questa l’impressione che ho dato mi scuso. Alcuni produttori del Garda sanno benissimo a cosa mi riferisco. Lo chieda a loro.
      Alla signora Elisabeth voglio dire che ce ne vorrebbero di chiacchiere del genere e che non è venendo tre volte sul garda che si può pretendere di conoscere tutto. Abbia pazienza.

  9. E’ divertente leggere qui i vostri scambi d’opignone per non usare la parola bisticci.
    Tante chiacchiere come al solito.
    Ha ragione Cristina che cerca di non perdere il tempo e scappa a lavorare invece a stare a discutere. Solo lavorando si ottengono dei risultati. A volte ci vuole oltre l’impegno anche molta pazienza.
    Scrivo da Varsavia e propio in questi giorni su questo mercato sto promuovendo i vini della Valtenesi!
    Anche quelli scelti da Franco Ziliani. Quei giorni durante la degustazione ero presente anch’io con dei giornalisti stranieri che hanno premiato gli stessi prodotti. Sono apparsi gia’ i loro articoli.
    Una cosa fatta bene e’ sempre apprezzata da qualsiasi esperto.
    Ora scappo anch’io. Devo lavorare oggi che e’ il sabato e anche la domenica. Sperando di portare dei risultati.
    Un cordiale saluto a tutti da Varsavia,
    elisabeth

  10. La gestazione di vini rossi “centrati”, ricchi di personalità, accattivanti, emozionanti, senza che nessuna di queste caratteristiche tolga naturalezza e franchezza ai vini stessi è tanto più complessa quanto più profondamente innestata su zone che -bene o male- il vino di quello stesso colore lo producono da molto tempo, con le relative connessioni alla tradizione ed alla storicità, ricche di preziosi contenuti ma anche di inesattezze o convinzioni errate. Ci vuole tempo, dunque, per dare una “nuova” interpretazione all’uva e ai suoli del proprio territorio, utilizzando solo ciò che l’insieme dei fattori che compongono il “terroir” sa offrire. La pazienza è comunque già premiata dall’esistenza di vini -che ora non mi pare il caso di citare, ma che Giovanni e Franco e chissà quanti altri già conoscono- capaci di sopportare confronti con larga parte della produzione italiana ed internazionale, magari senza guadagnarsi la scena da protagonisti, ma senza temere di sfigurare. Sono consapevole che non siamo “arrivati” da nessuna parte, ma ritengo che una manciata di vini rossi personali, originali e appaganti -che rappresenti l’ideale livello qualitativo da cui partire per crescere- in Valtènesi già si produca parecchi anni.

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