Rispondo (prendendo la palla al balzo)con questo post alle domande e alle affermazioni di un lettore intervenuto nel post precedente, perché credo possa essere di interesse comune conoscere determinate, vinose dinamiche. Di seguito, in grassetto, l’intervento de “Il Chiaro”.
G.A.
< Di aziende franciacortine che escono a prezzi assurdi (9,20 con 1+1= 4,60 per un brut) ce ne sono state, ce ne sono e ce ne saranno sempre, ma il problema è capire perchè. Forse che si è fatto il passo più lungo della gamba invstendo milioni di euro e poi producendo un franciacorta di valore dubbio? Io la chiamo selezione naturale, prima o poi l’industriale bresciano la smetterà di pensare che l’azienda franciacortina fa figo e comincerà a fare i conti come i deve.
Piccola provocazione: premesso che concordo con il tuo scritto, è più scandaloso un brut a 5 euro o certe bollicine, sempre franciacortine, a 20 e più euro?>
Grazie per il tuo contributo. A 4,60 non avevo ancora visto nulla!
Il perché si può scovare in politiche commerciali nate in un momento tanto euforico, quanto confuso, del mondo del vino. Anni di grandi investimenti di chi, pur non facendo parte del mondo agricolo, ha visto nel vino la “El Dorado” dell’economia moderna.
La selezione sarebbe naturale solo se gli attori coinvolti facessero parte della stessa categoria e avessero la stessa cultura, per esempio quella della terra prima di quella del soldo. A quel punto, chi produce meglio, vince. Oggi invece si fatica “sette camice” per far capire alle persone il concetto di qualità, identità e cultura, come valori da salvaguardare. Gli unici a farne le spese, concretamente, sono i contadini che con il vino tengono in vita la loro famiglia.
Accetto la provocazione, soprattutto perché Camossi, come Arici, non vende i vini né a 5 né a 20. 😉
Penso sia certamente più scandaloso vendere un vino che rappresenta un Territorio, a 5 euro. Quello stesso territorio che ha saputo ingolosire l’investimento di qualcuno perché rappresentava una “vettura” che funziona e che può funzionare meglio. Ma se funziona è perché qualcuno ha saputo costruirla con criterio e la sta guidando al meglio, quindi, se si decide di salire su quella vettura non si può pensare di condurla da subito, incurante e irrispettoso di chi su quel “mezzo” è passeggero da tempo.
Chi vende a 20 euro farà i conti solo con se stesso. Potrà anche mostrarsi grottesco, ma di certo non danneggerà il territorio.
Poiché nella tua provocazione il termine “bollicine franciacortine” rimbomba come un “rispondimi, che poi ti spiego cosa bevo io in Champagne con 20 euro…” e io non voglio far finta di nulla, ti rispondo prima che questo accada.
Franciacorta e Champagne: due territori, due vini che in comune hanno il metodo e per il 66%, anche le stesse varietà di vitigni.
Analizziamo i prezzi a confronto. In Champagne le grandi multinazionali hanno fatto cartello per i prezzi delle uve e hanno deciso gioco forza, lo smisurato allargamento dell’area di produzione. In Franciacorta questo gioco è nelle mani di chi fino a ieri non credeva nemmeno nel territorio. Prezzi alti nei momenti euforici e in netta flessione, ora che la richiesta viene meno. E i prezzi dei vini? Anche la Francia cala “le braghe”, con promozioni stile “fuori tutto”, dove a farne le spese, sono sempre i piccoli produttori, gli RM per intenderci, perché ne va dell’immagine del loro territorio, di quella Champagne che riportano orgogliosi in etichetta. Mal comune mezzo gaudio??
Un RM non compra uva (se non in minima quantità)e quindi non mi stupisco di bere straordinari vini a 20 euro(ne ho bevuti moltissimi e continuo a berne…), mi stupisco invece di trovare NM, che hanno pagato l’uva 5,50 con le bottiglie in vendita a 9. Mi chiedo davvero come si possa fare qualità, quando l’unico problema è non essere in perdita come in questo caso! La qualità ha sempre un costo.
Un contadino che non acquista l’uva e vuole fare qualità, in Champagne non si trova sotto gli 11 euro(parlo del prodotto base), come soglia minima per produrre un vino con quel metodo. Qualcosa si trova anche a meno, magari da produttori privi d’identità e spaventati dalla corsa al ribasso di qualche industria, ma spesso si tratta di vini dalla discutibile qualità. In Franciacorta le cose non sono diverse se non per il territorio, quindi trovare sul mercato franciacorta di livello a 4 e 60 la bottiglia, con l’uva a 1 e 30, è impresa assai ostica. D’ogni modo lascio l’ardua sentenza al consumatore evoluto. Ma quello non evoluto? Per evolversi identificherà il territorio in tale vino, che con la profonda identità della Franciacorta ha poco a che fare. Ecco un altro danno.
Poi, che si preferisca certi champagne ai franciacorta, non mi fa sobbalzare dalla sedia. Ricordo, infatti, che in Champagne i RM sono più di 4000, in Franciacorta forse 20(?). Una selezione lunga ma ricca di sorprese, quella francese, mentre qui da noi identificare qualcosa di serio non dovrebbe essere difficile. Dico dovrebbe, poiché vedo che anche operatori del settore, ancora faticano nel riconoscere un prodotto di livello in mezzo a pochi. Non discuto i gusti personali, anche se negli ultimi anni ho visto diventare scopritori e importatori di talenti francesi, un numero abnorme di persone che possono solo recare offesa al mondo del vino, per la loro assoluta pochezza di mezzi e di vini importati. Ecco un altro impietoso danno a chi produce vino.
Spero di essere stato esaustivo.
vedi, il vero problema non è il consumatore + o – evoluto, ma il produttore che pensa di fare i soldi seguendo la scia di chi ha tracciato il solco e il problema l’ha generato. Spiego meglio.
Se i vari Bellavista, Ca’ del Bosco, Monterossa e via discorrendo non avessero mai sparato certi (ingiustificati) prezzi (parlo delle bottiglie di fascia medio alta nelle rispettive gamme di prodotti) nessuno si sarebbe sognato di seguirli su quella strada. Invece ci troviamo con cuvée di presunta qualità che costano quanto uno champagne, ma hanno meno appeal di uno spumante di cantina sociale trentina. Ecco che restano invendute e quindi cominciano i guai per l’industriale che non sa più come fare a svuotare la cantina, a pagare i fornitori e altre amenità. Tocca svendere: via all’1+1.
Esempio (perchè sull’empirico mi faccio capire meglio): se un d.zero di Ca’ del Bosco costasse 13 euro + iva (cifra oltre la quale io non son disposto a spender per quel celebratissimo vino) nessun piccolo industriale prestato all’enologia del ruttante si sognerebbe di uscire a 13 euro + iva con il proprio brut base, ma forse neanche con il millesimato dedicato “chissa-a-chi” (incredibile come certe aziende escano con un millesimato ad ogni vendemmia che il Signore ci concede), insomma, non ci sarebbe quella rincorsa al prezzo alto con l’illusione che se costa tanto vale tanto.
Allora le bottiglie qualcuno le berrebbe, verrebbe voglia di stappare qualcosa in più e in piazza Arnaldo a Brescia un calice di bollicine millesimate non avrebbe prezzi in doppia cifra e le cantine si svuoterebbero. Dopotutto ci aggiriamo su circa 8 milioni di bottiglie contro quasi 400 dei franzosi, sono numeri “modesti”, si può ancora fare.
E non mi si venga a dire che non ci si sta con i costi: un millesimato di un RM (con tutta la qualità che spesso si porta dietro) costa all’origine mediamente 13 euro + iva e non credo che i cugini vadano in perdita.
Chiaro, se esistesse un metodo scientifico per dare l’esatto valore ad ogni vino, credimi che il primo a gioire sarei io.
I prezzi li stabilisce il mercato con la legge della domanda e dell’offerta. Se poi, uno si sveglia al mattino ed è convinto di avere in cantina un vino che vale 100 euro, lo pone in vendita alla stessa cifra e il mercato se lo compra, senza dubbio la ragione è dalla sua.
Dal mio punto di vista il flop finanziario dell’industria del vino risiede nella mancanza di cultura vinicola. Infatti, pensano basti produrre un vino che abbia le stesse caratteristiche estetiche del Dosage Zero di Ca’ del Bosco per potersi permettere di venderlo alla stessa cifra. In sostanza, io decido il valore del mio vino sulla base di quello che conosco. Se non conosco nulla e sparo a caso e non ho un nome, il rischio è quello di non vendere più il vino in questione e conseguentemente di doverlo svendere per non andare in perdita. Sul discorso dei millesimati, è necessario un ulteriore approfondimento ma non adesso.
Prezzi in doppia cifra a Piazzale Arnaldo: non credo, con tutto il rispetto, che quello sia il tempio del vino. Un “pirlo” ne costa 6, in centro 2,50-3. Non fa testo.
I milioni di bottiglie sono ormai 10. Gli RM sconosciuti vendono a 13, spesso cose ottime, spesso porcherie che qui in Italia vengono decantate dall’ultimo nuovo importatore di turno. Negli ultimi tre anni si sono materializzati più esperti importatori di Champagne a Brescia, che nel resto del mondo. Tutti con delle “succose” novità e un numero abnorme di talenti nascosti, venuti alla luce per l’occasione. Però, dobbiamo anche ricordare molti RM che a 20 euro per bottiglia, non ti danno nemmeno il “base”.
a mio modo di vedere ti contraddici: il prezzo lo fa la domanda/offerta (e sono d’accordissimo, infatti molti hanno le cantine piene) o lo fa la cultura vinicola? Perchè nella domanda/offerta di cultura vinicola ce ne è un gran poca: vai a vedere cosa e come si trangu…. ehm beve in piazzale Arnaldo!
E non dirmi che li non è un mercato di riferimento perchè in quel luogo si beve più franciacorta che nel resto della città, in quel posto c’è domanda e quindi di conseguenza si forma un’offerta.
Se in centro il pirlo costa meno è perchè altrimenti la gente non lo berrebbe. In piazzale Arnaldo il prezzo lo si fa tenendo conto anche del coefficiente di socializzazione, è li che girano le donzelle, è li che puoi parcheggiare in tripla fila la mercedes noleggiata per il week end (che tristezza!!!) e fare il fighetto, è li che se ordini cuvée prestige rischi anche di cuccare.
Se poi vogliamo parlare di poesia allora cambiamo argomento, ma i numeri, quelli che fanno chiudere in pareggio un bilancio aziendale, devono (purtroppo) basarsi sulla triste realtà che molti tra quelli che bevono Franciacorta non hanno idea della differenza che passa con un metodo Martinotti.
E’ vero, bisogna creare una domanda basata su una vera cultura vinicola, ma allora ti provoco ancora: sei sicuro che una volta formata questa cultura non si vada tutti a bere in Francia?
Non ho capito dove stia la contraddizione (chiedo a chiunque di aiutarmi a trovarla) comunque ne prendo atto. Perchè continui a confrontare Champagne e Franciacorta? Sono due territori diversi.
Ognuno beve quello che vuole, ma prima deve avere i mezzi per conoscere ogni cosa, a cominciare dalla differenza tra un territorio e l’altro. Cosa bere dev’essere una scelta consapevole e non una questione di pubblicità e falsi miti.
In centro il pirlo costa 3 euro perchè da sempre, chi conosce sa che non può costare di più.
Cazzo Chiaro, il coefficiente di socializzazione mi mancava! Però mi piace come concetto da approfondire certamente. In città ci sono 170000 bresciani e in Piazzale Arnaldo ti garantisco che non vengono in molti, almeno non quelli che vogliono bere in un certo modo. Per me non è un mercato di riferimento, in quanto se per entrare in uno di quei locali bisogna applicare scale sconti svilenti per il vino stesso, ci rinuncio. Parliamo della qualità delle persone che fanno mescita? Tempo di spendere mezza parola sul vino che ti servono? Non lo conoscono nemmeno loro ciò che vendono, se non per il nome altisonante.
volevo ampliare la discussione rifacendomi al post di Enrico Togni nella discussione precedente dove parlava di etica.
Me lo son sempre chiesto: premesso che chiunque debba comportarsi onestamente (e qua c’è dentro veramente tanta roba), cosa ha a che fare l’etica con il mercato? Cioè, se gia mi comporto onestamente, come quali/quanti-fico l’etica nel mercato?
Vi prego non mi si risponda tirando in ballo l’Africa, quelli che muoiono di fame e altre storture del nostro mondo, si cerchi di stare nella realtà in cui viviamo.
Io penso che tu abbia una conoscenza meramente commerciale del vino. Il concetto di territorio ti è ancora sconosciuto, quindi ti offro un’opportunità: una giornata con me ed Enrico tra la Franciacorta, con Arici e i Camossi e la Vallecamonica, per farti capire cosa intendiamo per etica. Non berremo un goccio di vino e ci muoveremo con la tua macchina. Attendo conferma da Enrico.
lo so che tra moglie e marito è meglio non mettere il dito, ma se posso dico la mia visto che sono stato tirato in ballo.
Caro Chiaro, mi spiace ma non sono molto d’accordo con quello che dici.
Piazzale Arnaldo è un mercato di riferimento solo per chi fa del marketing la parte centrale di un’azienda vitivinicola.
Sicuramente è una parte importante, ma non la più importante, fino a prova contraria il vino lo si fa con l’uva, e l’uva è la sintesi di un territorio.
Bere franciacorta, Champagne e altre denominazioni blasonate (per es. Valcamonica) non vuol dire bere il vino più famoso e conosciuto, quello trendy o glamour, quello con l’etichetta figa e la bottiglia importante, ma vuol dire bere un territorio nelle sue mille sfaccettature.
così bere un pirlo non vuole semplicemente dire bere un bianco col campari o con l’aperol, ma vuol dire bere Brescia, la sua storia e le sue tradizioni.
Chi sa queste cose inorridisce davanti ad un pirlo a 6 euro (che poi è tanto ghiaccio…).
Riguardo all’etica poi mi riferivo al fatto che ormai nessuno più rispetta il territorio, tutte le cantine hanno una gamma che va dal bollicine al passito o al vino liquoroso, passando per i bianchi e i rossi importanti, ma questo non è possibile.
Forse solo nel regno di Oz da uno stesso territorio si possono ottenere così tanti prodotti differenti.
L’etica secondo me sta nel fatto di resistere alle tentazioni delle vendite facili e non durature, sta nel cercare di costruirsi una propria identità fondata sulle potenzialità proprie e della propria terra:
Beh, mi dai la tua disponibilità per il giro con il Chiaro??
“E’ vero, bisogna creare una domanda basata su una vera cultura vinicola, ma allora ti provoco ancora: sei sicuro che una volta formata questa cultura non si vada tutti a bere in Francia?”
Questa sì che non l’ho capita, perchè mai? Se esistesse una domanda basata su una vera cultura vinicola si andrebbe (si berrebbe) in Francia, In Italia, in Germania (riesling docet) come ho scritto sulla mia pagina in Facebook, in Spagna, in Libano e via dicendo …
Se poi restringiamo il campo agli spumanti elaborati con metodo classico il discorso, a mio avviso, non cambia: i Franciacorta, gli Champagne, i Cava hanno tutti qualcosa da dire, qualcosa che è diverso per ogni territorio, e all’interno di questo diverso per ogni produttore. Poi, poesia e romanticismo a parte, in ogni luogo ci sono prodotti buoni e meno buoni, eccellenze e ciofeche, ma credo che almeno su questo punto tutti siano d’accordo.
In verità io non ho nessuna conoscienza commerciale, ma se tu parli di prezzi non puoi aspettarti che qualcuno ti risponda in modo romantico.
Capitolo territorio.
C’è stata l’ondata della barrique, poi quella del vitigno internazionale, subito in scia l’autoctono (che io preferirei chiamare tradizionale), poi la negazione della barrique, di traverso ci son stati i rotomaceratori, a seguire il bio-stacippa e il più talebano bio-staminchia e ancora i vini naturali e quelli veri, i bianchi macerati sulle bucce e quelli affinati in anfora, adesso c’è il territorio, anzi il terroir, tutti carri su cui molti son saliti per cavalcare la tigre finchè riusciva a galoppare, sono argomenti commerciali travestiti da poesia, armi per vendere qualche cartone in più.
capitolo champagne-franciacorta.
chi è stato il primo a parlare di champagne? il bravo produttore franciacortino.
Adesso (in nome della tigre territorio e di quei cartoni in più), in tutti i proclami ufficiali si sbandiera la propria diversità dai francesi, ma in molte cantine, quqndo si è a quattrocchi con il produttore la frase “ormai lo facciamo come, se non meglio del loro” è abbastanza usuale.
Non vendi il vino??
Capitolo territorio: concordo con te sulle biocagate e i vini naturali(un vino non è naturale). Vedi, se hai una cultura vinicola, puoi certamente renderti conto di chi ti racconta idiozie e chi no. Il territorio è una cosa, il terroir è un’altra. Non fare confusione, altrimenti parlare non serve a nulla.
Se tu vai da un produttore della Franciacorta che ti racconta una stronzata tipo “ormai lo facciamo come, se non meglio del loro” prendi le tue cose e levati dalle palle. Dovresti capire da solo che stai perdendo tempo. O devo suggerirti anche questo??
Io rivendico l’italianità dei vini che i miei contadini producono. Li chiamiamo Dosaggio Zero e non con francofoni termini.
certo che vendo vino, ma commercialmente son negato.
uhè non prenderlo come un attacco a Arici e Camossi, non è mia intenzione.
Il produttore che dice che lo fa meglio dello champagne è il primo che rischia di dover svendere con un bel 1+1 proprio perchè perde coscienza della realtà e pensando di esser meglio spara cifre come se fosse transalpino.
Territorio: ma qualsiasi territorio ha la dignità di raggiungere lo status di territorio eno-importante?
Io dico di no.
Sui vini naturali e le bio-qualcosa mi spieghi meglio il tuo pensiero?
Non l’ho preso come un attacco, ma era solo per farti capire che non si può fare di tutta l’erba (di tutto un territorio) un fascio. Un produttore che dice quelle cose è giusto che chiuda la sua cantina e che si dedichi ad altro, invece di creare danni a tutti i colleghi.
Non ho la certezza scientifica che ogni territorio abbia potenziale per produrre grande vino, ma ti posso assicurare che nella provincia di Brescia esistono territori il cui potenziale è sfruttato al 20% e pure male.
Sui “vini naturali” sto preparando un post per la prossima settimana…