Leggo solo oggi le interessanti affermazioni di Federico Vecchioni, presidente di Confagricoltura, inerenti all’attuale crisi nella quale versa il comparto vinicolo italiano(QUI l’articolo completo). Si parla di mercati stagnanti e conseguentemente di vino invenduto, di listini che nell’arco di un anno perdono il 23% del loro valore, quindi della tendenza a ribasso dei prezzi d’origine, delle richieste di espianto per quasi 26000 ettari… Si parla quindi di crisi preoccupante e della necessità che vi sia un intervento nazionale per favorire la vendita e la commercializzazione dei vini italiani. Poi, in mezzo a tutte queste cose trovo anche questo: “Il lavoro degli agricoltori nei vigneti deve essere valorizzato con adeguate politiche di mercato, altrimenti in molti abbandoneranno il settore e con loro si perderà la nostra tradizione di eccellenza produttiva”. Staremo a vedere se, nel caso ci fossero contributi, si ricorderanno davvero dei tanti contadini che popolano “l’enoica Italia”, oppure se daranno ancora contributi ad “industrie del vino” per costruire mausolei! Oltre a perdere la nostra tradizione di eccellenza produttiva, da anni stiamo smarrendo l’origine della cultura che porta in seno chi produce vino, ad appannaggio del business che ha portato gente, al di fuori di questo mondo, a investire milioni di euro con il fine unico di poterne guadagnare almeno più del doppio nel giro di poco tempo. Ora che le cose non stanno andando bene e che i tanti investimenti non stanno facendo guadagnare quanto ci si aspettava, ecco che si ricorre ai tagli dei prezzi. Tagli sostenibili solo da aziende che hanno la funzione di essere la seconda o addirittura la terza attività del “feudatario”, che magari la penserà così: “anche se ne esco alla pari, va benissimo!”. Il problema fondamentale è che spesso, questi investimenti sono fatti in territori in forte crescita e dall’importante “blasone”. Così, piantando le proprie viti su un rinomato suolo, la vendita del prodotto non sarà difficile (questo è quello che devono aver pensato). Oggi, con l’attuale momento economico, si stanno rendendo conto che, forse, non è proprio così facile! Decidono quindi di ridurre all’osso i prezzi con mirabolanti e contorte promozioni che tolgono dignità a un territorio che si è costruito negli anni e mettono in difficoltà chi, con la propria piccola produzione di vino ci vive, in quanto il contadino non può vendere alla stesso prezzo “dell’industria”, i costi sono diversi. Ma è questo l’unico modo che conoscono gli “enoici investitori” per vendere il loro prodotto? A me pare la conferma che ognuno debba fare il proprio lavoro! Risultato: chi sa fare un grande vino, ma non ha la possibilità (spesso perché non gli è mai stata data) di gridare al mondo la propria esistenza, scomparirà e con lui la sua storia e la sua arte. Chi non lo sa fare sopravvivrà, magari chiudendo l’azienda o vendendola ai russi, ma non gli mancherà mai il pane e la Porche in nessun caso. Questo credo sia un tema che meriterebbe un poco di attenzione da parte di tutti.
Che Dio (e non solo) ti ascolti!! Vivendo quotidianamente il problema e sapendo i costi per produrre qualità e non quantità, vorrei che tutti imparassero a coglierne la differenza. Bravo Giovanni! Ti auguro di riuscire con sempre maggior successo nel tuo progetto!
Grazie Luisella, anche se su Dio ho sempre contato poco… non credo voglia esporsi pubblicamente commentando sul mio Blog. 🙂
Credo negli uomini e nelle donne che spero possano capire l’importanza di tutto questo.