Mi è stato chiesto più volte un mio parere a riguardo dell’utilizzo di vitigni alloctoni in questo, piuttosto che in quell’altro territorio. Come è ben visibile ho firmato la petizione in favore dell’identità del vino italiano, ho espresso più volte la mia assoluta contrarietà nel cambio di disciplinare del Brunello di Montalcino e ultimamente del Cirò, ma credo, a fronte delle ultime discussioni nelle quali mi sono trovato nel mezzo, che sia necessario fare delle distinzioni. Non ho nulla in contrario con chi vuole coltivare Cabernet o Merlot (per fare l’esempio più lampante) ma sono assolutamente ostico nei confronti di chi pensa possano essere migliorativi per sangiovese o nebbiolo (sempre come esempio massimo). I gusti sono assolutamente personali e se un produttore di vino scopre, degustando diversi vini, che Merlot o Cabernet sono ciò che lo soddisfa di più, che le caratteristiche di uno dei due lo entusiasmano e per questo lui voglia piantare Merlot in Langa, non ci vedo nulla di male. O meglio, non ci vedo nulla di male se poi produrrà un igt o un vino da tavola ottenuto solo con quelle uve e non di certo per tagliare il suo Nebbiolo da Barolo in maniera furbesca e poco onesta. Ho già detto che, dal mio punto di vista, un vitigno autoctono è un valore inestimabile che deve essere salvaguardato e tutelato, ma questo non significa che in un territorio un produttore qualunque non possa sperimentare, per la propria curiosità, il “comportarsi” di una qualunque altra varietà di uva. Io non lo farei se nel mio territorio ho la possibilità di muovermi con un vitigno autoctono, ma ognuno è libero di fare le scelte che crede. Quella appena descritta è la figura di un produttore consapevole e non da criminalizzare. Altro è invece, chi vuole piantare tali vitigni con lo scopo unico di produrre un vino che si avvicini il più possibile ai gusti del mercato e che abbia, a prescindere dal territorio, quelle caratteristiche che lo possano accumunare ai vini di successo. In questo caso trovo assolutamente triste e discutibile tale scelta, in quanto ogni vino deve essere espressione di un pezzo di terra, di un territorio e dell’uomo che decide come vinificarlo. Se a muovere la mano del produttore è il miraggio di un mercato e non la consapevole certezza del connubio tra la sua terra e il vitigno che ha deciso di coltivare, in questo caso penso che la partita che cercherà di giocare non durerà molto.
L’altra sera, a cena si discuteva proprio di questo con un amico che si dichiara (negli ultimi tre anni) assolutamente contrario al Merlot. Non beve Merlot, odia i Bordeaux e pare che per lui esista solo Borgogna, come nella maggior parte degli eno appassionati negli ultimi anni. Così, ho deciso di stappare una bottiglia di Nepomuceno 2004 per altro ultima annata di questo vino prodotto con solo Merlot in purezza. Infatti dall’annata 2005 trovano spazio anche Marzemino e Rebo ad aggiungere ancora maggior complessità al vino di Cantrina. Il vino di Cantrina, ho detto, e non un Merlot della Valtènesi, ma il frutto del lavoro e della volontà di chi ha deciso di creare un vino simile, perché il gusto di Cristina e Diego vuole un vino con quelle precise caratteristiche e perché i loro 5,8 ettari , così, li hanno solo loro nel bene e nel male (se ce ne fosse). La scorsa vendemmia a Cantrina si sono cimentati nella produzione di un Groppello, per dare espressione della loro filosofia anche ad un vitigno autoctono, con risultati esaltanti a detta di tutti, ma non di certo perchè hanno smesso di credere a quanto fatto fino ad allora con vitigni alloctoni. Fare un vino figlio della terra e della volontà dell’uomo, questo è il grande distinguo che si deve fare per una corretta informazione del mondo del vino. Smettiamola di generalizzare con cose tipo “ a me piacciono i Pinot Nero e non i Merlot” o viceversa, perché sono affermazioni prive di significato in quanto esistono Pinot Nero pietosi e Merlot straordinari. Impariamo a valutare i vini partendo da quello che le persone vogliono esprimere e raccontare, nella creazione del più grande prodotto che si possa ottenere dalla trasformazione di un frutto. Impariamo a distinguere chi fa il vino esclusivamente come un qualunque altro “pezzo” da immettere sul mercato. Impariamo ad ascoltare. Ah, al mio amico il vino è piaciuto…
complimenti per l’immagine che trasmettette della vostra azienda e soprattutto per il vino che producete.
se siete interessati, produco circa 4.000 quintali di uva tutta coltivata in zona collinare, in sicilia e in zona DOC; svariate sono le qualità di uva a bacca rossa e bianca, ovviamente coltivate con cura e rispetto per l’ambiente ( no pesticidi o disserbanti o trattamenti invasivi per oidio o peronospera ect…, questo non per scelta ma per l’ubicazione dei terreni adatti alle culture vitivinicole).
certo di una Vostra attenta considerazione, porgo cordiali saluti.
Gentile Signor Valerio,
la ringrazio per il complimento e per l’interessamento. Questo progetto ha ancora molto da fare nella provincia bresciana e per ora dobbiamo continuare qui, a casa nostra. In futuro sicuramente usciremo dalle “mura domestiche” ma per adesso non abbiamo ne i mezzi ne le possibilità.
cordialmente
Giovanni Arcari