E’ proprio così, anche il grande Lebowski detto Drugo, ovvero l’uomo più pigro del mondo (personaggio dell’omonimo film cult dei fratelli Coen nel quale mi rispecchio molto, non solo per la pigrizia) potrà acquistare il suo vino, o meglio (son certo nel prossimo futuro) il suo White Russian, senza muovere un dito.
E’ quanto ho letto su Wine News, ovvero che si potrà acquistare vino, seduti comodamente in poltrona. Canottiera con macchia di sugo d’ordinanza, infradito, telecomando nella mano sinistra, quella destra che scava avidamente in un sacchetto di patatine unte e davanti a voi il “Mastrota” di turno che vi consiglia il vino migliore da abbinare alle patatine. Avete capito bene, si tratta della nuova iniziativa intrapresa da Mediashopping che sul suo portale vanta già una carta dei vini con 130 etichette provenienti da tutta Italia, Franciacorta compresa. Le domande che mi pongo sono una marea, ma le più rappresentative sono quelle che seguono. Il vino sempre più prodotto commerciale alla stregua di materassi e rasoi per la depilazione dei peli superflui del naso? Ma tutto quel valore culturale e storico che il vino porta con se, che fine farà? E’ per questo modo di fare mercato che si sta scegliendo di apportare modifiche ai disciplinari di alcune delle più importanti e storiche denominazioni dell’enoica Italia, con il fine di omologare le produzioni di qual si voglia territorio? Troppe identità e troppa cultura stonerebbero di certo nella pianificazione di un marketing di questo tipo? Quarant’anni fa il contadino doveva solo preoccuparsi di produrlo, oggi, “l’agricoltore moderno” è costretto a finire in tivù se vuol vendere il proprio vino?
E nei prossimi quarant’anni che succederà? Saremo in grado di salvaguardare storia, cultura e tradizione, oppure anche il nostro amatissimo vino farà la fine di un qualsiasi altro oggetto, dimenticato dalla ciclicità delle mode? Per ora andrà sicuramente bene a Drugo, senza dubbio alcuno!
Ciao Gio, compagno di divani e magliette con le scritte fatte a mano, sei preoccupato?
Drugo non si comprerebbe mai un tappeto tramite media shopping.
Drugo capita suo malgrado in universi in cui un tappeto gli potrebbe cambiare la vita.
Alla stessa stregua non acquisterà mai un vino grazie ad una telepromozione.
Sarai tu a regalarglielo quando lo incontrerai vicino all’entrata del tuo ristorante preferito!
Così noi -noi quelli che oltre a consumarlo, il vino, lo raccontiamo o proviamo ad interpretarlo- difficilmente ci faremo abbindolare dal corpo tagliato al laser dell’assistente dell’imbonitore di turno.
Sceglieremo un vino, o un tappeto, o un materasso, o una vacanza, quasi come fa il nostro Drugo, non perchè lo racconta la tv ma perchè la nostra vita ci ha portato dalle parti di quel bene che ci attrae.
Certo con l’illusione di esserci andati a scovare l’articolo che ci interessa con maggior lucidità e consapevolezza di quanto non faccia il Nostro.
Insomma, la possibilità della scelta, ovviamente sempre supportata dalla curiosità e dalla ricerca, non ce la toglierà mai nessuno.
Potremo continuare a fare il vino che ci piace fare, non necessariamente “omologato” e potremo venderlo anche senza andare in tivù, a quei pochi o tanti che non lo compreranno attraverso la tivù.
Quindi potremo cerare il vino che sognamo di bere in un luogo un po’ meno massificato dell’angolo commerciale televisivo, facendo quella “fatica” in più che la passione ci consente di sopportare, fino a farla apparire una ricerca divertente.
Detto questo, molto più prosaicamente, tanti di noi faranno un po’ dell’una e un po’ dell’altra cosa, abbindolati dal piazzista nelle giornata di trionfo dell’alienazione e paladini della missione della ricerca quando l’entusiasmo sprona l’energia.
Al vino non si può certo chiedere la cortesia di stare ai margini del mercato, in ognuna delle manifestazione che il libero commercio propone.
Pur con tutta la diffidenza e lo “stupore” comprensibili, anche le opere d’arte passano attraverso la legge della domanda e dell’offerta, sarebbe disumano che il vino ci si sottraesse.
Però mi auguro che il white russian già pronto in bottiglioni da 3 litri non lo commercializzino mai……..
Caro Paolo, a volte sei più contorto di quei grappoli di Groppello che coltivi. Ma va bene così e mi piaci anche per questo. Non mi preoccupo dell’aspetto commerciale, ma bensì dell’incapacità di esprimere l’aspetto culturale del prodotto vino, che questo strumento commerciale non riuscirà mai a raffigurare. La mia paura è che il vino si riduca come un qualunque altro prodotto del quale emerge l’innovazione ma non la storia e la tradizione. Ho paura che si vada a perdere il fascino di questo prodotto agricolo che necessariamente ha bisogno dell’uomo oggi, come 1000 anni fa. Di cose simili ne abbiamo già perse troppe, parlo di tradizioni e di cultura. Ti faccio un esempio: saremmo in grado, io e te, di cucinare quegli arrosti, quelle galline lesse quelle tagliatelle fatte in casa che cucinavano le nostre nonne, o che ancora cucinano le nostre madri? Credo che, il vino, il mercato se lo debba costruire con questi elementi, esprimendo la cultura che rispetta la terra e che salvaguardia la tradizione e la storia, perchè un vino non è la mistificazione di un’opera d’arte, ma una grande opera d’arte, se non verrà omologato al mercato. Bisogna costruirselo un mercato. Come un Picasso, quelli non li vendono a Telemarket, le cose che gli “assomigliano” si.
Gio,
saremo in grado di cucinare quelle galline se ci interesserà farlo, se le mille esperienze della vita non ci avranno comunque tolto la voglia di “coltivare” il sapore antico che riteniamo necessario alla nostra felicità.
Se invece il pollo morbido, dal sapore appena accennato, del negozio sotto casa o del supermercato rionale o perfino del centro commerciale sterminato sazierà la nostra voglia di gusto, perderemo l’attitudine a cucinare l’animale da cortile pieno di ripieno senza versare una lacrima per “l’estinzione” di un’antica cultura gastronomica.
Il vino è un prodotto alimentare straordinariamente ricco ed evocativo per alcuni, per altri addirittura una vera opera d’arte, per altri ancora è un prodotto alimentare semplice, oppure uno status symbol, oppure perfino una “missione”.
Siamo noi che lo facciamo e lo raccontiamo e lo vendiamo a decretare cosa sia il nostro vino ed, ovviamente, a chi potrà interessare la storia che esso contiene.
Se faccio un Picasso è probabile che abbia una storia così unica e particolare dentro e dietro e sotto di me -sai, sono Picasso, mica Paolo Pasini- che difficilmente mi troverò ad allacciare rapporti stretti con l’imbonitore televisivo.
O, se mai dovesse succedere, difficilmente l’utente tipo di quella trasmissione saprebbe cogliere l’opportunità che gli si presenta in un Picasso, che quindi velocemente cercherebbe e troverebbe un mercato a lui più consono.