Prendo spunto, per questo post, da un bell’articolo (leggi qui) scritto dal preciso e bravo Marco Baccaglio su “I numeri del vino” riguardante il mercato della Champagne nel 2008. Dati davvero interessanti che riguardano anche l’Italia, unica assieme a Paesi Bassi e Australia ad aumentare l’importazione del famoso vino francese.
Una cosa davvero curiosa è che a perdere siano stati le grandi Maisons, seguite dalle cooperative, mentre i vignaioli hanno segnato un più uno! Dato, l’ultimo, davvero confortante soprattutto se penso a ciò che sto facendo proprio per i contadini. Stupisce subito il dato relativo agli Stati Uniti con un ben 19% in difetto, ma a me personalmente la cosa che mi sbalordisce è che in Italia vengano consumate circa nove milioni e mezzo di bottiglie di Champagne all’interno di un mercato, quello italiano, che assorbe trenta milioni di bottiglie di metodo classico. Un terzo del consumo! Praticamente la produzione di tutta la Franciacorta! Ora, che io ritenga Champagne, Franciacorta e Trento, mondi completamente diversi, su galassie differenti, dove l’unica cosa che accumuna tutti è il metodo di spumantizzazione, è cosa ormai assorbita, spero. Però il metodo stesso fa si che questi tre differenti territori, seguano lo stesso canale d’utenza o meglio abbiano il consumatore interessato al medesimo metodo, quindi alla stessa tipologia di vini. Attenzione, non ho detto lo stesso consumatore, in quanto molto spesso chi beve champagne non beve necessariamente franciacorta piuttosto che trento. Ora, alcuni conoscono lo champagne per profonda passione, altri perché la caratteristica organolettica che accumuna i migliori vini di questo territorio, la sapidità, si confà al loro palato, altri, il maggior numero, per via dell’immagine che lo stesso porta in seno, data da una comunicazione intelligente che conta secoli di storia.
Bene, considerando che tra questi vi siano molti che il franciacorta non lo hanno mai assaggiato per diverse ragioni che vanno dall’identità ancora poco chiara rispetto ai francesi, alla giovane età di questo territorio al quale non si riesce ancora a dare piena fiducia, oppure più semplicemente perché questa terra non si è ancora ricoperta di quel fascino intrigante, che regna in quel pezzo di Francia (e non solo in quel pezzo), che talvolta, ti fa sentire buone anche le peggiori cose, solo al suono del suo nome. Detto questo mi chiedo se non sia il caso di attuare una politica comunicativa maggiormente atta alla formazione del consumatore italiano nella conoscenza del prodotto e del territorio Franciacorta, in maniera che lo stesso possa avere quantomeno la consapevolezza nella scelta di cosa bere e che tale scelta non sia dettata esclusivamente dall’immagine del mito. Una formazione fatta da uomini che raccontano il territorio e non il solito muto banco d’assaggio. Una formazione fatta di dibattiti intelligenti che precedono le degustazioni e i vari festival itineranti, fatta di ospiti interessati e non unicamente dal solito quadretto politico presenzialista. Credo sia davvero necessario dare al “consumatore italiano di tipologia” quantomeno la cultura della conoscenza di quello che trova nel suo paese. Penso sia importante investire in una comunicazione diretta alle cui spalle vi sia un uomo che, itinerante come i festival creati dal Consorzio, possa portare la cultura del suo territorio, in maniera informale ma incisiva. Mi piacerebbe sapere il parere dei consumatori, del consorzio, anche nella figura di Maurizio Zanella, di chi opera e conosce questo mondo e magari di qualche produttore a riguardo. Se non chiedo troppo, ovviamente.
P.S. La splendida fotografia di bottiglie di rosè “in punta” l’ho rubata all’amico Francesco Orini, che ormai è il mio fotografo ufficiale.
La cultura enologica del consumatore -lungi dall’essere matura in un paese quale il nostro- è determinata dalla comunicazione mediante la quale l’enologia parla di se stessa.
Il consumatore medio che si inoltra oggi alla scoperta del mondo enologico e dei territori si imbatte in guide, corsi ONAV, corsi AIS, letteratura di nicchia, carte dei vini, ecc..
A mio parere una strategia comunicativa di questo tipo non può sussistere se prima non vi è una forte intenzione comunicativa di livello supra-aziendale (comuni,consorzi, enti, join venture con altri settori agroalimentari/turistici/territoriali).
Il terroir nasce, secondo me, nell’aspettativa che il consumatore medio si fa al momento dell’acquisto.
Ricollegandomi al post del lugana che hai scritto l’altro giorno, sono convinto che la strada giusta da percorrere sia proprio relativa alla valorizzazione territoriale e delle singole realtà produttive.
Occupandomi-marginalmente-di import/export di vino vorrei aggiungere all’articolo che menzioni una valutazione di tipo empirico: lo champagne, amato o odiato che sia, è sicuramente un indicatore di quanti contumatori intendano avvicinarsi all’enologia di qualità. Secondo me è confortante il dato che in Italia aumentino i consumi di champagne. Sono altresì convinto che, una volta valutata la bontà di questi prodotti, venga effettuato un processo di valutazione qualità prezzo in cui il consumatore indaghi relativamente alla presenza sul mercato di prodotti alternativi (cava-franciacorta-californiani, neozelandesi) e che poi questa ricerca si concluda nell’acquisto di prodotti di nicchia e supernicchia.
Sapere cioè che il consumo di prodotto di qualità (come lo champagne) è ancora in crescita in un territorio come il nostro può essere la cartina tornasole per ipotizzare un aumento del consumo di prodotti locali di qualità, ed in quest’ottica una forte strategia comunicativa coordinata vino-territorio-identità potrebbe creare le premesse per un mercato duraturo con una visione a medio-lungo termine.
Una strategia perdente, e la storia ce lo insegna, è lasciare questo ruolo alle guide, alle associazioni di degustatori, ai pubblicitari.
buona giornata
Davide
Assolutamente concorde con te Davide. La comunicazione va gestita e non lasciata nelle mani sbagliate e spesso colme di conflitti d’interesse di molti. Mi auguro che con il “nuovo” consorzio si possano attuare politiche del genere.
Fedele tua lettrice, non amo uscire allo scoperto. Ma è giunto il momento.
Concordo con quanto da te detto, soprattutto quanto auspichi” uomini che raccontano il territorio e non il solito muto banco d’assaggio”.
Tuttavia credo fermamente che per attuare, per citare le tue parole, “una politica comunicativa maggiormente atta alla formazione del consumatore italiano nella conoscenza del prodotto e del territorio Franciacorta”, si debba partire, urgentemente, ad educare il territorio stesso. La Franciacorta stessa, Brescia, la “sua”città di riferimento.
Mi sembra quasi paradossale. Come è possibile che ci sia moltissima gente, nata, cresciuta e che vive in questi territori che ancora non sappia come si chiama il vino che qui si produce? Non dovremmo (e mi ci metto dentro anch’io) essere i primi orgogliosi comunicatori di un’eccellenza come il Franciacorta? Non dovremmo fare nostra questa ricchezza, magari pensando di sviluppare le attività legate al turismo e all’accoglienza? Non dovremmo pensare di proteggere e di tutelare anche a nostro vantaggio un territorio come questo? Quello che vedo è spesso indiscriminato mattone e molta ignoranza. Non parliamo poi della città, dove non c’è nemmeno uno straccio di punto informazioni, corner, info point, chiamiamolo come lo vogliamo, che ti dia informazioni sulla Franciacorta.
Sono fermamente convinta che laddove non esiste una buona “comunicazione interna”, la “comunicazione esterna” non possa essere efficace. Anzi, direi che è impossibile.
Tu che puoi, parlane ai pianti alti, che qualche responsabilità forse ce l’hanno.
Con stima
Hai ragione Toc, ma i “piani alti” son certo siano consapevoli di questi “buchi”. Noi crediamo che la nostra provincia non sia un mostro di cultura enoica, ma non per questo dobbiamo perdere la speranza di informare per formare.
Grazie di cuore per la stima e per essere una mia fedele lettrice.