Valtènesi: non c’è troppa confusione?

Va bene, adesso qualcuno dirà che il mio è accanimento, che è un modo poco pacifico di affrontare certi argomenti, che qualcuno mi sta sulle palle e allora mi comporto da fazioso… blah, blah, blah. Beh, a queste persone dico (con un colpo di teatro) che non hanno tutti i torti a pensarla così, non su tutto naturalmente, ma agli stessi ricordo che in questa provincia vivo anche io, che con il vino lavoro anche io e che, chi mi conosce, sa benissimo che non gioco mai sporco per difendere i miei interessi, anzi a volte dicendo ciò che penso vado contro agli stessi. Condizione poco remunerativa in questi casi, ma di certo quando mi sveglio la mattina, non sento l’esigenza di sputarmi in faccia da solo. Almeno non per questioni legate alla mia onestà intellettuale! Così, dopo la provocazione caduta nel nulla (non mi aspettavo certo che rispondessero… ) mossa al consorzio della Franciacorta, eccomi a riparlare della mia provincia e di alcune sue questioni legate al vino.

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Dopo una serie di anteprime dei Rossi della Valtènesi eccoci finalmente con il “banco d’assaggio” che si svolgerà il prossimo fine settimana al “Quadriportico” di Piazza Vittoria nel cuore della mia città. Il comunicato stampa del consorzio Garda Classico cita testualmente: <A fianco del Chiaretto, i Rossi della Valtènesi, ovvero i vini identificati dal nuovo marchio registrato dal Consorzio e finalizzato a valorizzare le migliori produzioni dell’entroterra gardesano, con l’obiettivo di rilanciare la riviera occidentale del Garda come terra di personalissimi vini rossi, in ampia parte basati sul Groppello, l’uva autoctona della zona che è del resto anche la materia prima di base del Chiaretto>. Quindi, oltre ai rossi pure i chiaretto! Bene, io ma come me molti altri, non abbiamo ancora capito cosa si intenda per “Rossi della Valtènesi”, in quanto alle precedenti anteprime si potevano trovare vini di diverse tipologie: dai groppello ai cabernet, passando per i merlot, ai marzemino, rebo e via discorrendo fino ai tagli con un po’ di tutto. Nel frattempo il consorzio ha approvato a stragrande maggioranza il disciplinare per la nuova D.O.C. denominata appunto “Valtènesi Rosso”. Un vino che per ora non esiste, ma che avrà nei suoi fondamenti una percentuale minima del 50% di groppello (delle tipologie Gentile o di Mocasina)ed il restante 50% di qualunque vitigno ammesso in provincia di Brescia. Naturalmente (se non ho capito male) chi vorrà potrà realizzare il Valtènesi anche con la totalità di groppello, ma anche con parte di marzemino, rebo e i vitigni sopra citati. Ora,dando per scontata la validità dell’idea di dare ad un vino il nome del territorio, non sarebbe stato più opportuno investire qualche risorsa in più per lo studio del vitigno autoctono (il Groppello) e cercare di valorizzarlo per la realizzazione di un vino che, sicuramente non avrebbe potuto giocarsela con Barolo o Brunello, ma che di certo avrebbe avuto nelle sue peculiarità il punto di forza per creare l’identità di un territorio vitivinicolo? Prendiamo ad esempio il famoso caso Brunello, dove il gusto storico culturale di quel territorio, dei suoi vini, è venuto meno a vantaggio di un mercato globalizzato. Infatti molti che hanno avuto “il genio” di tagliare il proprio Sangiovese con i cosiddetti “vitigni migliorativi” hanno visto i loro vini mutare in maniera organolettica, fino al punto di non trovare più il gusto della terra Ilcinese dentro quelle bottiglie. Se un territorio enoico è, e deve essere, figlio di una cultura fatta da almeno un elemento che accumuna in maniera oggettiva e riconoscibile tutti i suoi protagonisti e di conseguenza i suoi prodotti, in maniera da creare quel filo conduttore facilmente riconducibile a quella regione, non credete che questo modo di interpretare il vino possa essere troppo dispersivo per radicare un’identità?

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25 risposte a "Valtènesi: non c’è troppa confusione?"

  1. Concordo quello che hai detto visto che negli anni passati la valtenesi non ha mai avuto uno scenario importante sul territorio regionale e nazionale, forse per la troppa varietà di vini offerti i quali veramente azzeccati si contano sulle dita di una mano, oppure nel poco investimento in marketing che in quasi 50 anni di produzione vitivinicola non si è mai voluto fare a pieno, o un’altro motivo è che le cantine hanne sempre puntato la vendita dei vini della nostra bella valtenesi a vacanzieri di passaggio, sopratutto tedeschi, i quali per colpa dell’euro o della crisi si sono fatti sempre più radi sul nostro lago di garda. Ora che si potrebe sfruttare a pieno l’occasione di una doc dei rossi della valtenesi, magari commercializzabile in tutta italia, ci stiamo lasciando ingannare sul fatto che più vitigni autoctoni si mettono nel nostro groppello più il vino sarà buono e delicato al palato del cliente che lo comprerà. Secondo me è una gran cavolata perchè se facciamo una comparazine tra cucina e viticultura ci si accorgerà che in cucine pluristellate si stanno facendo dei passi indietro,si sta ritornando alla semplicità, attenzione non alla banalità, facendo piatti meno complessi con cotture semplici, abbinamenti non forzati e non cercati al microscopio togliendo schiumette schiumettine pensando di più allo stomaco del cliente, facendo in modo che quando esca dal ristorante sia pieno, e la stessa cosa si può applicare al rosso valtenesi togliamo tutti quei uvaggi in più che non servono a nulla e facciamo un rosso valtenesi al 100% groppelo vedrete che la gente che lo assaggerà lo apprezzerà maggiormente.

  2. E’ vero, infatti di marketing non ne è mai stato fatto. Il consorzio ha vissuto nell’immobilismo per molti anni e oggi si ritrova con un programma forse troppo discutibile. La comunicazione deve essere atta alla creazione di un’identità, basata su quello che realmente si può fare mentre invece si punta troppo l’occhio su quello che è il mercato del momento. Io penso che con un’identità forte e veritiera si possa (e si debba) crearlo un mercato, scevro dalle mode e orientato al futuro del terretorio stesso.

    1. Perchè non venite al banco d’assaggio tra due giorni?
      Potrete constatare voi stessi come -senza rinnegare gli evidenti miglioramenti compiuti dalla viticolture e dall’enologia anche in Valtènesi e sottolineando l’importanza dell’impegno che buona parte dei produttori ed il consorzo stesso stanno mettendo nell’approfondimento della comprensione del vitigno Groppello- la tradizione gardesana bresciana sia fatta anche di tanti altri vitigni, non necessariamente territoriali.
      Prepararsi ad un vino di territorio che non sia unicamente Groppello non significa snaturare il dna locale al solo scopo di adattarlo ad un più ampio mercato, bensì traghettare le molteplici genialità e peculiarità della Valtènesi verso una più ampia diffusione attraverso un’idea-vino che sia la fotografia più veritiera della realtà territoriale.
      Il Groppello è e ritengo sarà in senso sempre più concreto e definitivo il vitigno principe da usare per dare sapore di Valtènesi al nostro vino e da raccontare per garantire il ricordo e la memorizzazione delle nostre peculiarità, ma non credo sarà, perchè non lo è mai stato, l’unico protagonista della nostra viticoltura in rosso.
      Siamo uomini di dubbio e composizione del conflitto interiore, quindi i nostri vini saranno come noi.
      Servono vini a più alto grado di “densità tetragona” per muovere a forti emozioni? Ce ne sono già tanti, per ogni gusto.
      Il nostro Valtènesi sarà un vino di sofferto equilibrio,per quelli che ci si vorranno ritrovare.
      Spero ci vedremo Sabato.
      Paolo Pasini

  3. Sono daccordissimo con Paolo sul concetto che vuole la tutela del Groppello ma con l’affiancamento di altri vitigni- vini che sul territorio esistono da sempre. Ogni Azienda possiede almeno un grande rosso e spesso quello più rappresentativo non è Groppello in purezza.

    La tradizione mi sta bene ma non quando diventa un fattore limitante nelle vedute e nel progresso. La storia , le peculiarità di un territorio devono essere tutelate non dimenticandoci che tutto è sempre in perpetua evoluzione (guai se così non fosse ) .
    Perciò , conserviamo la tradizione ma non perdiamo il contatto con la realtà che, oggi, il panorama vitivinicolo della Valtènesi offre.
    Il banco d’assaggio comunque non è un punto di arrivo ma semplicemente un modo per avere la possibilità di mettersi a confronto e verificare i risultati utili per una crescita per il prossimo futuro.

    Facendo parte del consiglio del Garda Classico vi assicuro che esiste un progetto fatto di solide gambe , che non tralascia la tradizione ma che si completa con essa .

    Nb Volevo informarvi che da oltre 3 anni stiamo finanziando degli studi- ricerche sul Groppello .

    cristina

  4. Sono molto felice che alcuni produttori si siano fatti avanti. Credo in ogni caso di avervi fornito un “assist” che però non è stato del tutto colto. Paolo, i vini della zona li conosco ma verrò ugualmente a farmi un giro. Hai detto bene dicendo non vi è dubbio, ma questo accade in moltissimi altri territori italiani. Che tradizione stiamo osservando, quella degli ultimi quarant’anni, o forse meno? Allora anche in molte altre zone la tradizione, se la si osserva oggi, è fatta di tanti altri vitigni (Piemonte, Toscana…) ma la consapevolezza di avere qualcosa di unico in simbiosi da sempre con quel territorio che ha fatto si che i produttori abbiano imparato a valorizzare ciò che hanno, solo loro, nelle loro terre. La realtà territoriale è fatta di quegli elementi peculiari che contraddistinguono e rendono unico un territorio, sempre che vi siano. Nel vostro caso ne avete uno molto importante a mio avviso e si chiama Groppello, ma non è mai stato valorizzato come andrebbe. Non è stato piantato dove andrebbe (in molti casi) e non è mai stato testato come andrebbe. Non a caso Cristina dice che è da solo tre anni che ne state sperimentando le caratteristiche. Mi verrebbe da chiedervi se è così anche per la nuova DOC. Mi chiedo poi come sia possibile che in un territorio che produce circa due milioni e mezzo di bottiglie, esista solo un produttore a credere ciecamente in questo vitigno ed è il solo che abbia pure un successo notevole fuori dai confini bresciani pur se con una massa critica, piccolissima, di prodotto. Parlo di Gianfranco Comincioli. Oggi nel vino, oltre alla storia e alla cultura, è massicciamente presente il marketing. Questo lo si può fare in due modi: o cercando di soddisfare la richiesta del mercato, oppure avere il fegato e l’onestà intellettuale di creare richiesta con quello che si ha da sempre, che solitamente è legato alla storia e alla cultura di un territorio. Solo che spesso il mercato abbaglia e molti si perdono.

  5. Ed è quello che stiamo facendo… perchè da sempre nella Valtènesi, non si è prodotto SOLO il Groppello. Quando parlavo di ricerche e studi sul Groppello intendevo studi eseguiti in modo più approfondito e con le nuove tecniche di vinificazione. Questo non significa che non siano state fatte delle sperimentazioni “naturali” dagli stessi produttori anche negli ultimi 20 anni.
    Credo fortemente in questo progetto, che già dal nome stesso parelerà di Valtènesi, cosicchè il nostro territorio non venga più confuso con quello di altri, cosicchè i nostri vini avranno una loro identità anche in etichetta. Il territorio c’è e lo si trova in primis nel vino . L’unica pecca è la mentalità di tanti produttori… non voglio essere troppo polemica, passerei per quella presuntuosa.
    cristina

  6. Cosa è “è quello che stiamo facendo…”? Va bene, diamo per scontato che da sempre in Valtènesi non si coltivi solo groppello. Si coltiva marzemino, rebo, barbera, sangiovese, cabernet e merlot per citarne alcuni. Si è mai visto uno di questi vitigni, vinificati in purezza, aver ragione dei più svariati palati? Pensi (pensate) che uno di questi vitigni possa giocarsela con gli stessi piantati in altre zone tipo toscana, piemonte o trentino (non parlo di un singolo caso isolato)? Se si, perchè uno di questi vini non si è mai imposto, ne ha avuto i favori della critica o del consumatore finale alla pari degli stessi in altri territori? Come ho detto, dare ad un vino il nome del territorio è cosa giusta, ma il prodotto deve anche essere il più possibile figlio dello stesso per potersi imporre senza doversi confrontare con altri. Solo così il territorio non verrà confuso con altri, solo così un vino sarà scevro da paragoni, solo così un vino sarà davvero unico. Non solo per ciò che riporta in etichetta.

  7. Gio, di grazia, sai perfettamente che io -e chi in azienda lavora insieme a me alla produzione del vino- non cerco esattamente di produrre il vino “per soddisfare le esigenze del mercato”. Non già perchè sia masochista e speri di non vendere nemmeno una bottiglia del mio vino, ma perchè “il mercato” è talmente variegato che posso supporre ci sia spazio per ogni tipo di vino, quindi -sopratutto con i piccoli numeri- fare il vino “di massa” o farlo “di nicchia” non cambia radicalmente l’impegno necessario per provare a fargli frequentare il mercato con successo.
    Cambia magari quel che racconti.
    Ce lo siamo detti tante volte, con buona probabilità sono gli uomini, più dei loro prodotti, a decidere la strada di un azienda, quindi per estensione di una tipologia, di una doc, di un territorio.
    Il mio territorio è sopratutto Groppello.
    Di quello si parla, quello si comunica, su quello si fa ricerca e si parametra l’esperienza.
    Ma da solo il Groppello non riempie la Valtènesi.
    In compagnia sembra possa raggiungere un livello qualitativo assoluto più elevato.
    Quindi perchè non mettere per iscritto che il nostro Groppello possa stare in compagnia di chi gli fa fare una miglior figura?.
    Credi che si sacrificherebbe la tipicità?
    Mah, son tanto scettico su questo concetto, quanto sono invece convinto del potere di suggestione della parola, del racconto, delle buone sensazioni.
    Di cui tu, in qualche modo, sei esperto.
    Perchè non credere al “progetto Valtènesi” e parlarne molto bene?

  8. Paolo, manca solo un “cribbio” e poi abbiamo illustrato il panorama politico italiano. Encomiabile la tua ricerca della forma comunicativa, al fine di stupire chi di vino legge. Ma qui credo serva poco. Saper comunicare la realtà delle cose non significa saper suggestionare, ma aver la coscienza della realtà. Io credo alle mie palle, Paolo, che si prostrano orgogliose avvolte dai miei pantaloni. Ti comunico questa cosa con grande sobrietà e assoluto credo,perchè questo è quello che sento. Se voi sapete fare lo stesso, non vedo di cosa preoccuparsi. Alle domande non avete risposto con forbita convinzione, ai problemi emersi avete saputo glissare con “grande eleganza”. Non credo al progetto Valtènesi così com’è ora, perchè mi pare solo un’iniziativa commerciale. Portami qualche dato e sarò felice di riparlare della cosa. Questo è il mio parere, non universale. Portami la matematica e ti farò Re.
    Beh, un “in bocca al lupo” mi pare il minimo.

  9. Anche io credo alle mie palle (metaforicamente ) è la mia parola contro la tua e allora ??? Solo che io sono una produttrice di vino e le cose le ho sperimentate direttamente in vigneto e in cantina propio sul territorio in questione. I miei vini , che non sono nati assolutamente con una strategia commerciale (e so solo io quante camice ho sudato per farmi un mercato ) fanno parte di “quei vini” che tu oggi critichi . E’ vero non sono composti con del Gropppello ma provengono sicuramente da questo territorio, io ho scelto una mia filosofia produttiva che si chiama “faccio quello che voglio” , credo nella qualità unita all’identità di un vino e di un territorio .
    Per me l’espressione di un territorio non significa solo interazione tra vitigno e suolo e tradizione (soprattutto quando questa, unita ad una mentalità ottusa tipica della Bescianità, diventa un LIMITE )ma si lega soprattutto al fattore umano determinante nella scelta della filosofia produttiva . Oggi è oggi, chi mi dice che questo andare controcorrente un domani non possa portare a grandi risultati? E che cosa è una tradizione ? Un fattore di tempo ? Ma se fossimo sulla strada giusta (e il cammino è ancora tanto lungo ) tra 50 anni il Valtènesi rosso passerà alla storia come tradizione e avrà comunque spazio per una sua naturale evoluzione giustamente voluta dagli uomini-produttori che faranno vino in quell’epoca. Noi , ovviamente , saremo defunti !!!
    Insisto, io ci credo. Liberi di tenervi le vostre rispettabilissime opinioni.

    Replica

  10. …e allora credo che il vino non sia fatto solo di parole. Quindi non credo che una parola messa in etichetta, possa fare l’identità di un territorio. Credo inoltre che un territorio vinicolo debba darsi delle regole ferree, soprattutto se piccolo. Come si può indentificare un territorio dal prodotto, se ognuno lo fa come cavolo vuole? Io non sto criticando nessun vino, sto semplicemente dicendo che trovo più intelligente “svenarsi” per qualcosa di unico che non per il surrogato di un prodotto come tanti.Cristina, i tuoi vini provengono dai tuoi sei ettari, prima che da quel territorio. Se così non fosse, raccontatemi le peculiarità che questo territorio conferisce ai vini. Il resto delle tue parole sono le stesse che hanno usato alcuni produttori di Montalcino per difendere le loro scelte di tagli, nei vini Brunello. E poi, fatemi capire in cosa state andando così spericolatamente (eufemismo) controcorrente, ma soprattutto rispetto a cosa.La tradizione è la storia e l’intelligenza delle persone di voler radicare un’identità valorizzando ciò che si ha e non “ciò che si vorrebbe perchè sarebbe più opportuno o remunerativo”. Poi credo che con i “se” e con i “ma” non si vada lontano. Oggi avete una cosa, che avete solo voi, tra 50 anni magari, non avrete più nemmeno quella. Salvaguardate le peculiarità che questo territorio vi offre. Salvaguardate ciò che vi dona e che vi è stato lasciato.

  11. Rispetto la tua opinione, ma per quanto mi riguarda la trovo solo critica e limitante . Senza i “se” e senza i “ma” saremmo sempre statici nella vita e con dei grossi rimpianti.
    Buona giornata, io vado avanti in ciò che credo.

  12. La mia critica vuole essere costruttiva e non di certo limitante. Credo in una maggior concretezza delle idee. In una maggiore obiettività.

  13. Signora Cristina, in cosa trova limitante quanto esposto da Arcari? Lo trova limitante perchè mette i bastoni tra le ruote alle vostre idee di fare commercio a tutti i costi? A me pare vi stia dicendo di tutelare quello che avete cioè il vostro vitigno autoctono. Non dica poi che la Valtenesi è fatta di tanti altri vitigni, o meglio è stata fatta di tanti altri vitigni negli ultimi 20 anni (sono nato qui e ci vivo da 50anni) quando pensavate (e lo pensate ancora) che il vostro autoctono non valesse nulla. Allora vi siete messi a piantare qualunque cosa con risultati discutibili. Glielo dico perchè io compro vino da alcuni di voi da anni e quindi conosco. Non avete mai sperimentato a livello territoriale il vostro groppello se non negli ultimi anni e avete così deciso di creare una doc nemmeno quella sperimentata nella quale possa convogliare tutto quello che di peggio o di meglioavete saputo fare nel vostro splendido territorio. I rimpianti dovreste averli oggi per non essere stati capaci di fare sistema valorizzando il vostro vitigno autoctono. Un po’ di coerenza e obiettività non guasterebbe mi creda.

  14. La storia è importante ed è nostra intenzione continuare a tutelarla , infatti con il nuovo disciplinare possiamo essere in grado di produrre anche un vino Valtènesi fatto al 100 % con uve GRoppello (se questa dovesse essere la strada giusta ). Ma come dice lei Piero, da 20 anni a questa parte il panorama vitivinicolo nella Valtènesi è cambiato, non possiamo ignorare questa cosa che è avvenuta per tante ragioni e non per delle colpe. Ripeto , tutto evolve nel tempo , non ha senso tornare indietro bisogna andare avanti con la consapevolezza e la buona fede nel fare le giuste scelte. Tutti voi insistete sul fatto che l’esigenza di ottenere una nuova DOC ( che amaramente non siamo riusciti a sperimentare per colpa dell’imminente nuova OCM) sia nata per motivi commerciali , io ho vissuto in primo piano la nascita e lo sviluppo di questo “progetto” (non lo chiamo neanche DOC ) e vi posso assicurare che è nato dalla precisa volontà di dare un nome e una identità, il più verosimile possibile, al nostro territorio dove il Groppello è e ne rimane la peculiarità . Non mi sento assolutamente incoerente , dipenderà forse dal fatto che sono l’ultima arrivata in questa Terra e la storia di questa mi è stata solo tramandata , non l’ho mai vissuta sulla pelle . Però ritengo che, se da una parte questo GAP è un elemento “negativo” nella mia formazione di produttrice di vini in Valtènesi, trovo assolutamente positivo il fatto che lo stesso mi renda libera da preconcetti , libera di scegliere e di guardare avanti. Ecco perchè non sopporto i limiti, esiste anche una filosofia produttiva che fa parte delle scelte dell’uomo-produttore che deve dare spazio alle proprie sperimentazioni e creatività.
    Il nostro “progetto” andrà avanti , ci vorranno degli anni , solo a risultati maturati con coscienza ci sentiremo di appicicare sulla bottiglia una etichetta con scritto DOC Valtènesi.

    Notte.

  15. Signora Cristina io credo che un territorio, come dice Arcari debba avere un identità. Ma come si può creare se uno fà il Valtenesi con solo groppello, uno con groppello e marzamino, uno groppello e merlot?E le vinificazioni? Uno barrique, uno acciaio, uno che farà appassimento, uno solo uva fresca un altro metà e metà. Non esiste un filo conduttore comune, non vi è un solo elemento che accumuni tutti quanti.Almeno uno dovreste averlo che non sia solo un nome in etichetta. Il groppello poteva esserlo. Anche la valpolicella è un territorio ma con il suo amarone si sono dati delle regole.Vitigni e vinificazione uguali per tutti, per fare di tutte le bottiglie che riportano in etichetta la scritta amarone un unico grande insieme. Dice bene lei a voler fare i vini libera e senza preconcetti, infatti produce vini igt che per altro trovo molto buoni nella loro singolarita’.L’uomo però si da delle regole e poi deve interpretarle senza tradirle, nel miglior modo possibile. Questo è l’uomo che trovo dentro un vino, quello in grado di fare un grande riesling, usando solo il riesling se vuole chiamarlo riesling.Ma delle regole di base devono esserci per fare l’insieme territoriale che rappresenta un vino. La valtenesi in passato a fatto delle scelte ma le chiedo se si siano rivelate giuste. Mi pare che invece abbiate iniziato tante cose ma che le avete lasciate tutte quante a metà senza preoccuparsi del giusto o sbagliato. Oggi ve le ritrovate tutte e allora dovete fare qualcosa cioè mettere assieme gli errori degli ultimi 20 anni con i pallidi successi.Se il groppello fosse come dice lei la peculiarità, allora mi spieghi perchè davanti casa mia ci sono circa tre ettari di groppello da anni che puntualmente marcisce prima di essere raccolto?E perchè invece dove cresceva bello e maturo nella collina dietro è stato piantato merlot? Forse perchè li non andava piantato e perchè nessuno si è mai chiesto cosa fosse meglio per quell’uva? Questa è l’incoerenza che trovo nel territorio che amo e in quello che vuole andare a produrre. I miei auguri in ogni caso.

  16. Sono contento che un osservatore certamente appassionato, abbia saputo descrivere con semplicità quello che cerco di urlare da tempo. Il sistema stile Châteauneuf-du-Pape vuole essere utilizzato in Valtènesi tralasciando alcune cose importanti. Nella Valle del Rodano si produce Châteauneuf-du-Pape con 14 uve tra cui 6 a bacca bianca. Ognuna di queste uve è presente in ogni “sottozona” della suddetta Valle. Non vanno di certo a prendere Merlot, Cabernet o Pinot Nero o Sangiovese per migliorare i loro vini. La base è Syrah ed è l’unica uva che viene utilizzata e valorizzata nella produzione del famoso Côte-Rôtie, certamente il vino più rappresentativo della Valle del Rodano. Le altre zone hanno capito di doversi distinguere nettamente. Ben 14 denominazioni ben distinte, in tutta la valle. Ben distinte soprattutto per le tipologie di uve utilizzate e per le regole che si sono dati i produttori con il fine di fare di una piccola massa critica un unico messaggio forte di coesione e identità.

  17. Rieccomi, sono felice di constatare che oltre alla sottoscritta altri, in una giornata festiva come questa, anzichè andare a spasso se ne stanno rinchiusi nello spazio segreto della propria casa a scrivere su un blog, siamo decisamente pazzi.Magari alla fine di questo lungo confronto potremmo incontrarci , io, Arcari,Piero e chi altro vuole aggiungersi per farci una bevuta !

    Procedo con ordine in risposta a Piero.
    Le tecniche di vinificazione , l’assemblaggio di altre uve al Groppello non sono qualcosa che viene proposto oggi come una novità ,la maggior parte dei produttori l’ha sempre fatto.Propio perchè, come diceva lei , non hanno creduto fino in fondo al Groppello (e posso capirne i motivi: uva difficile da coltivare , da gestire , portare a maturazione , bucce sottili , grappolo compatto , facilità ai marciumi acidi, vino fruttato con una personalità molto discreta ecc.)ed era nata un esigenza diversa che era quella di creare un vino più strutturato, più complesso anche solo più colorato e “invogliante” .
    Le regole ci sono da sempre anche nel disciplinare del Groppello ma questo non impedisce a chicchesia di non seguirle infatti….
    Le regole dipendono dalla nostra coscienza ,dal buon senso , sensibilità e dalla consapevolezza che solo lavorando bene, con passione e con onestà si possa arrivare a dei risultati stabili e concreti .Lasciamo l’uomo libero di decidere , con questo disciplinare i produttori non saranno più costretti a mentire dicendo che il loro Gropppello è fatto al 100% con quel vitigno quando invece non è così. Oggi la parola Doc Valtènesi non dobbiamo neanche pronunciarla , solo quando avremo sperimentato con ricerche , coscienza ,confronti libertà , ecc. potremo raggiungere una nuova consapevolezza e solo allora si cambierà la mentalità del produttore della Valtènesi e perciò del territorio , mettendoci tutti in discussione e giocando a carte scoperte senza sotterfugi grazie anche alla libertà concessa da un disciplinare.
    Si , è vero, per varie ragioni (che non conosco sino in fondo ) in passato sono state fatte delle scelte . Oggi non possiamo ignorarle è il panorama che ci viene offerto , l’intento è quello di unire la tradizione alla realtà di oggi.
    Piero volevo farle i complimenti per l’attenta analisi che ha fatto sulla Valtènesi , sicuramente , conoscendo meglio di me la storia e l’evoluzione di questa territorio non posso che apprendere tanti altri passaggi che a oggi non conosco.

    Arcari nessuno ha la presunzione di voler fare il Chateauneuf-Du-Pape d’Italia , anche se, tra le uve da te citate ti ricordo che il san giovese fa parte del disciplinare del GardaClassico rosso ormai da almeno 30 anni.
    Chiedo solo di darci del tempo, il progetto lo richiede altrimenti sarebbe come lasciare un’altra cosa a metà . La mentalità di questo territorio è molto chiusa e statica , per dare forza e focalizzare una identità di territorio c’è bisogno di un gruppo unito e da questo primo presupposto dobbiamo partire assieme alla realtà vitivinicola di oggi e al nostro caro Groppello.

  18. Inganni, parlavo di sangiovese per fare un esempio. Puoi dire lo stesso degli altri vitigni che ho citato, visto che nel disciplinare della nuova D.O.C. saranno ammessi vitigni che ancora non sono nemmeno coltivati in Valtènesi, come per esempio il nebbiolo, il quale essendo presente in provincia, potrà essere utilizzato e coltivato anche li? E’ vero che oggi le tecniche di vinificazione sono le più svariate, ma non vi viene il dubbio che questo possa essere uno dei fattori che hanno contribuito al mancato sviluppo enologico della Valtènesi? Quindi, l’uomo ha notato i limiti del groppello addossandone le colpe al vitigno e non a se stesso? Mi pare che qualcuno di voi qualche sforzo con il groppello lo abbia fatto e ne abbia ricavato molto, a prescindere dalle esigenze dettate dalle mode di mercato. Mode che oggi son cambiate. Ma i territori che da sempre hanno successo, non li guardate nemmeno? E quelli che hanno già fatto in passato quello che state facendo voi, facendo un clamoroso buco nell’acqua? Manco quelli guardate? A volte mi pare che fino a ieri coltivaste la pianta della felicità, vendendone il frutto ai ciechi. Mi pare vi sia (oltre alle pubbliche denunce) un po’ di ipocrisia.

  19. Arcari affidiamoci al buon senso dei produttori e lasciamoli lavorare . Sono assolutamente inutili questi battibecchi tra noi , avrei una risposta per ogniuna delle critiche che hai mosso. Non esageriamo….e poi le risposte le trovi già tutte in quanto ho esposto nei precedenti commenti.Non vorrei che il tuo prossimo passo fosse quello di usare termini troppo “coloriti”, che tu conosci bene.
    Con rispetto e stima. Cristina

  20. Nessun battibecco, si cercano risposte che non arrivano mai. Nei precedenti commenti trovo poca chiarezza, ma soprattutto poca coerenza e il silenzio di tanti rimbomba come un grido di poca convinzione.

  21. Signora Cristina nel lontano novembre 2001 ho conosciuto l’Arcari in un ristorante dove teneva una degustazione di vini friulani. Se non ricordo male erano ribolla. Qualche piccola sconosciuta azienda. Eravamo poco più di 20 persone. In quell’anno eravamo soliti parlare di tre bicchieri, di cinque grappoli e di chi fosse l’enologo, in quanto la stampa ci faceva capire che l’enologo fosse l’essenza del vino. Cotarella, Tachis e altri nomi famosi. Quando io e i miei amici abbiamo visto in faccia chi avrebbe tenuto la degustazione ci siamo chiesti se non fosse il caso di alzarci. Poi ha iniziato a parlare di terra, di identità e di uomini senza mai menzionare chi fosse il enologo di una sola di quelle cantine. Parlò bene sembrando molto più vecchio della sua età, e mi stupì molto ma allora non capivo bene e presi le sue parole sottogamba. Oggi che ne parlano tutti di quei concetti, mi son tornate in mente le parole di Arcari in quella degustazione. Da quella volta non l’ho più visto. Probabilmente se lo avessi seguito un po’ di più avrei certamente bevuto con maggior coscienza negli ultimi 8 anni. Questo per dirle che forse si dovrebbero ascoltare anche altre campane senza sottovalutarle come avevo fatto io. Anche in quell’occasione fu molto colorito per via dell’insistenza di molti (compreso la mia)di sapere chi fosse l’enologo delle varie aziende, fino a quando ci rispose che l’enologo era uno solo e pure sconosciuto. Non credo sia bello che lei dica di avere ogni risposta per tutto se poi non le da. Non so se sia vero che si possa utilizzare anche nebbiolo ma se lo fosse, visto che in valtenesi non c’è, credo che abbia ragione Arcari a dire che c’è poca coerenza. In ogni caso io sono un consumatore e mi piacerebbe che ci fosse maggior chiarezza a cominciare dalle parole. Comunque non c’è peggior sordo di chi non vuole sentire. Con questo mi congedo.
    Cordialmente

  22. Ricordo di una serata tremenda con alcuni personaggi che non hanno fatto altro che sfottermi e poi, alla fine, ho insultato pesantemente uno di loro arrivando quasi a prenderlo a schiaffi…Mi dica che non era lei! Sarebbe grottesca la cosa. Si trattava di un ristorante dalle parti del Garda? Senza rancore alcuno, la ringrazio per i complimenti. Mi scriva, così ne parliamo. Mi farebbe molto piacere. giovanniarcari@libero.it

  23. Piero io non prendo nulla sottogamba e credo di conoscere molto bene il Sig. Giovanni Arcari. Le posso assicurare che al di fuori dei commenti su questo blog io e il signore in questione abbiamo già avuto molti scontri diretti sul progetto Valtènesi. Stimo Arcari quanto lei ma questo non mi inmpedisce di credere alle mie teorie che provengono anche dalla pratica del mio settore e del mio territorio. Dalle sue parole sento una velata accusa nei miei confronti come quella di essere una persona presuntuosa e arrivata . Mi spiace averle dato questa impressione , sicuramente è colpa mia. Ripeto , credo di aver dato tutte le risposte del caso , forse non tutte. Comunque non mi risulta che il nebbiolo sia presente in Valtènesi. Solo un pazzo potrebbe piantarlo. Comunque adoro i pazzi…
    mi congedo anchio.
    E’ stato un piacere. cari saluti

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